Corinna Fiora, 36 anni, di origine sarde ma cosmopolita nell’anima. Vive da undici anni a Dakar, città che anch’io amo particolarmente per almeno tre motivi: il clima stupendo, l’ospitalità senegalese (la celebre teranga) e la vivacissima scena culturale.
Un mondo effervescente, dove le opportunità nascono dalla voglia di mettersi in gioco contaminando tradizioni differenti.
Dopo aver studiato a Londra, Corinna si è trasferita in Senegal. Il suo primo lavoro è stato con un’ONG locale. Oggi unisce un’intensa attività come cantante al lavoro come copywriter e consulente di comunicazione.
Prima di iniziare ti invito in VADOINAFRICA NETWORK, la community italofona per realizzare il tuo progetto personale in Africa!
Bene, lasciamo spazio alla musica ascoltando Corinna e il suo gruppo I-Science!
Da quanto vivi in Senegal? Di cosa ti occupi?
Vivo qui dal 2005. Ho praticamente due vite: una diurna “per guadagnare la pagnotta” come copywriter e consulente di comunicazione. Una che inizia appena cala il sole come cantante. A dir la verità la musica è da tempo la mia prima attività e ho fatto in modo di lavorare come freelance proprio per gestire i miei orari in modo flessibile e avere il tempo per concentrarmi sulla creazione artistica. Oltre a questo ho fatto un sacco di lavori diversi nell’arco di questi anni, ma questa è un’altra storia…
Come sei arrivata in Senegal?
Ho studiato Antropologia e Sviluppo alla SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra. Dopo la laurea sono tornata in Belgio, dove vive mia madre. Non ne cavavo un ragno dal buco in termini lavorativi ed ero nel tipico periodo post-studi, della serie “a che ca**o servo?” (specie con una laurea in Antropologia).
Avevo già molti contatti in vari paesi africani e meditavo di mollare l’Europa per un po’. Fatto sta che un mio amico canadese un giorno sbarca in Belgio, mi dice “qui non ci fai nulla. Io sto andando in Senegal. Vieni?”. Ho pensato: “la crisi comincia a puzzare. Se vado lì imparo una nuova lingua, ho prospettive di lavoro sicuramente più interessanti e mollo l’andazzo fascistoide del continente europeo… Buona idea!”. Sono partita in vacanza con l’idea di cercare uno stage, l’ho trovato grazie all’associazione Les Villageois de Ndem e ci sono rimasta.
Cosa ti piace di più di questo Paese? Cosa di meno?
Amo il Senegal come un padre. Mi ha insegnato tanto sulla vita, sulle persone… a volte mi ha dato certe sberle! Altre volte mi ha accarezzato e aperto il cuore, mostrandomi l’essere umano nella sua bellezza più pura. È un paese profondamente umano, pieno di vita ma al contempo pieno di contraddizioni. Nella stessa strada trovi manager incravattati in SUV e calessi a cavallo.
Le cose che non amo qui sono quelle che odio in generale: la corruzione che impedisce a molti giovani di avanzare, una certa cultura della mediocrità soprattutto a livello istituzionale, a volte un certo fatalismo.
Il resto è giusto interazione: a volte incontri uno stronzo, altre volte uno in gamba. Spesso il paese ti rimanda ciò che hai dentro: un giorno mi sveglio di malumore e generalmente incontro gente stronza. Uno specchio insomma… ecco grosso modo come vedo il Senegal.
Ci racconti la tua giornata tipo a Dakar?
Non ho una giornata tipo. Questa cosa fra l’altro mi piace molto. Ho molti progetti (tre progetti musicali, il mio lavoro in comunicazione e sono socia di un’impresa locale per la promozione di combustibili alternativi) e quindi ogni giorno ho la possibilità di occuparmi di qualcosa di diverso.
Dai, però provo a descriverti una media giornaliera! Mi sveglio, faccio mezz’oretta di sport (giuro, ci sto provando), mi lavo e vado alla sede di Havas, agenzia per cui lavoro part-time. Poi esco per fare musica (registrazioni, prove, sedute fotografiche o altro), torno a casa, lavoro un po’ ai miei progetti esterni di consulenza. Qui in Senegal praticamente tutti hanno diversi lavori, uno principale ed altri secondari, che in Wolof chiamano kharmatt.
Di solito vado a letto un po’ tardi, ma cerco comunque di farmi le mie buone otto ore di sonno. Il week end spesso e volentieri concerti.
A proposito, concediamoci una breve pausa musicale made in Senegal!
Cosa fai nel tempo libero?
A livello cultura e serate ci sono davvero molte cose da fare: Dakar è una città cosmopolita e c’è molto passaggio. Concerti di jazz, fusion, afrobeat, elettronica, teatro, danza. Non c’è assolutamente un’industria culturale degna di questo nome… ma le cose accadono comunque!
Quanto spesso torni in Italia? Cosa ti manca di più?
Una volta all’anno, d’estate. La Sardegna tutta intera mi manca. Amo quella terra profondamente. Anche se sono nata in Egitto, il mio sangue è di li. Mi mancano le sue montagne, il suo splendido mare, limpido, dolce, potente, con le rocce di granito che sembrano maschere di un altro mondo, il profumo della macchia, le sue grotte, ventre del mondo… mi manca la famiglia.
Ma è cosi. I Portoghesi lo chiamano “saudade”, quella specie di nostalgia, malinconia mista a gioia, che penso tutti gli emigrati si portano dentro quando pensano alla loro terra. Questa bellissima canzone della capoverdiana Cesária Évora la descrive perfettamente:
Quali sono le opportunità per un giovane italiano in Senegal?
Dipende tutto da quello che sa fare. L’economia è emergente. Ci sono molte startup. Se vogliamo parlare in termini strettamente di mercato, i settori in maggior espansione in questo momento sono l’informatica, l’audiovisivo, la comunicazione.
Per investire in un progetto personale direi energia, agroalimentare e immobiliare. Ma attenzione! Sconsiglio di lanciarsi direttamente in progetti imprenditoriali. Il Senegal bisogna conoscerlo, altrimenti i soldi vanno via facilmente.
E qui sta il punto principale: il network di conoscenze.
La cosa più importante, penso, per chiunque volesse stabilirsi qui è di conoscere prima il Paese, incontrare le persone, osservare come le cose funzionano, scambiare e sviluppare legami, perché sono i rapporti umani che permetteranno di trovare le vere opportunità.
Qual è il tuo artista senegalese preferito?
Wow! Ce ne sono un bel po’! Della generazione dei grandi mi piacciono molto Baaba Maal, Cheikh Lo, il grandissimo Soleymane Feye, soprattutto quando cantava con il gruppo Xalam, Youssou Ndour, Omar Pene, Orchestra Baobab.
Anche nella nuova generazione ci sono artisti allucinanti come per esempio Sahad and the Nathal Patchwork, Ibaaku, Kya Loum, Ali Beta, Daba (che fra l’altro sono anche amici). Anche nell’hip hop ci sono dei grandi come S’killaz, Moulaye, Ophis (del collettivo WAM), Rex T, PPS the Writah, Dip Dundu Guiss… come vedi la scena culturale è molto ricca!
Qualche aneddoto della tua vita da cantante?
Aneddoto? Beh, ci sarebbe un bel po’ da raccontare. Ad esempio concerti con condizioni di sonorizzazione assurde: ad esempio il fonico che sparisce dalla tavola da mix per andare alla tavola da biliardo in pieno concerto!
A volte le condizioni tecniche sono molto dure. Altre ti ritrovi faccia a faccia con artisti allucinanti, anche internazionali.
Con I-Science facciamo parte di un collettivo di artisti, ribattezzato la Bastione dei Pirati, che è la grande casa di un amico dove organizziamo concerti. Abbiamo organizzato sfilate di moda e serate, in collaborazione con artisti di ogni tipo: ferramenta che costruiscono insetti giganti per la decorazione, musicisti, stilisti pazzoidi che immaginano futuri alternativi, fotografi… dal 2008 ad oggi è emersa una scena underground ed è scoppiata la collaborazione intra-disciplinare. Musicalmente qui c’è molto da scoprire e imparare, ritmicamente si sentono delle cose incredibili!
Un errore che, se potessi tornare indietro nel tempo, non rifaresti?
Nessuno. Gli errori sono lezioni di vita.
Come (e dove) ti vedi tra dieci anni?
Chissà? Potrei essere ovunque. L’importante è che io sappia dove sono adesso! 😉
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