Facile dire “Africa” (se non sai quanto è grande e diversa)

Il 7 Dicembre 1972 l’equipaggio dell’Apollo 17 scattava una fotografia destinata a rimanere nella storia: la Terra vista dallo spazio. Un’immagine suggestiva perché rende più piena la parola umanità. Abitiamo tutti lo stesso pianeta e, generazione dopo generazione, ci succediamo in questa “piccola biglia blu”. Ma guardiamo con più attenzione questa foto.

Africa is not a country

Una cosa sfugge a tanti, quando dovrebbe balzare subito all’occhio:

il continente africano è immenso.

Sì, l’Africa è un continente, non un Paese. L’Europa è da qualche parte sopra e non si vede. Guardare questa foto più spesso non solo ci renderebbe più umili nel collocare le nostre umane miserie nell’universo ma ci darebbe anche una migliore idea del nostro posto su questa bella biglia blu. L’Africa dallo spazio si vede solo in parte. Tanto è grande. Quando mi capita di sentire espressioni come:

non vedo l’ora di tornare in Africa.

O stupidaggini del tipo:

non sono africano perché sono nato in Africa ma perché l’Africa è nata in me.

O ancora quella frase capace di regalarmi un’ulcera gastroduodenale:

ho il mal d’Africa!

…mi accorgo dell’ignoranza che regna sovrana sul tema. Non voglio essere pedante, ma queste frasi hanno una cosa molto grande che non va: l’idea che l’Africa sia un Paese, come l’Italia. O un continente paragonabile all’Europa. No, è molto più grande e diversificata. E non lo dico per rivendicare chissà quale superiorità africana.

Semplicemente l’Africa è il secondo continente più vasto del mondo (dopo l’Asia) e i protagonisti delle esclamazioni sopracitate la pensano sempre troppo piccola. Sono peraltro in buona compagnia. Ma perchè?

Una questione (anche) cartografica

Questa enorme distorsione passa anche dalle cartine geografiche. La biglia blu è rotonda. Il planisfero piatto. Dunque o si distorcono le superfici o gli angoli. La proiezione di Mercatore, inventata nell’epoca delle grandi navigazioni, sceglie di conservare la possibilità di orientarsi con la bussola lungo le coste, distorcendo le aree:

Proiezione di Mercatore (1541)

Negli anni ’70 Arno Peters e James Gall misero a punto un sistema dove la superficie di ogni elemento cartografato è proporzionale alla sua vera estensione nello spazio, a scapito degli angoli e delle distanze verticali. Questo il risultato:

Proiezione di Gall-Peters (1973)

Morire di eurocentrismo

Le percezioni errate non riguardano solo l’Africa. Lo stesso avviene quando si parla di tanti altri contesti non europei. A partire dalla Cina, un Paese immenso le cui 33 regioni (es. Zhejiang, Hubei, Anhui, Hunan, ecc.) hanno ciascuna pressappoco la stessa popolazione dell’Italia. Realtà capace di sfidare oltre venti secoli come impero multinazionale, dove l’imperatore (e c’è stata anche una “lei”) era il custode di una civiltà, più che di uno Stato.

Idem vale per l’India (29 stati e 7 territori governati da Nuova Delhi) o la Federazione Russa che è il Paese più esteso del pianeta, anche se non popoloso come Cina e India. Che dire poi del Brasile, una repubblica federale con 207 milioni di abitanti che pensiamo tutti candidi come Adriana Lima o Rodrigo Santoro, ignorando di riferirci alla prima destinazione degli africani deportati attraverso l’Atlantico. Farsi un giretto a Salvador de Bahia (80% degli abitanti ha un antenato africano) o Rio de Janeiro significa incontrare tanti brasiliani con una bella dose di melanina.

Si potrebbe continuare a lungo… In fondo, cosa accomuna tutti questi contesti? Territori immensi da governare. E dunque identità variegate. Tra una provincia cinese e l’altra esistono differenze paragonabili a quelle che ci sono tra Italia e Svezia.

Nel continente africano tutto questo è ancora più esasperato perché la storia dell’essere umano in quell’area è molto antica. Ciascuno degli oltre duemila popoli africani è giunto, nel tempo, a differenti soluzioni istituzionali per il buon governo: piccole confederazioni, forme di democrazia partecipata fondate sul consenso, monarchie, imperi multinazionali e tanto altro ancora.

Le oltre 2.000 popolazioni “africane”

L’occupazione militare europea (1884-1960) ha importato un concetto del tutto estraneo al continente: lo Stato-nazione. Una finzione molto ristretta, escogitata con la Pace di Vestfalia (1648) per risolvere la guerra dei Trent’anni. Tutto il contrario, per capirci, dello “stato-famiglia” cinese basato sull’appartenenza a una longeva tradizione filosofica, artistica e tecnica. E tutto il contrario del modo di pensare e gestire la società prevalente nel continente africano.

Attenzione a generalizzare

Le storia dell’Africa è più simile a quella cinese o indiana che a quella europea. Certo, su scala più frammentata e dispersa. Anche a causa del clima e dei grandi ostacoli naturali. La storia millenaria del Regno Egizio. L’Etiopia prima civiltà cristiana fuori da Gerusalemme. Il Regno di Buganda… Ci sarebbe tantissimo da dire e studiare.

Invece continuo a sentire parlare di “Africa” come se fatti e precisione non contassero più. Anzi, si evitano come la peste. È più comodo fondarsi su quello che si è sempre detto. Di altri popoli umani è normale studiarne la storia, apprezzarne il contributo dato all’umanità.

Per gli “africani” invece pare basti una pubblicità di Save the Children o il classico racconto della ragazza che ha fatto volontariato-in-Africa abbracciata a qualche dozzina di bambini. Le nostre conoscenze si limitano così a questi luoghi comuni e alle menzogne che ne sono i presupposti: caricature tardo-risorgimentali, fasciste o pietiste.

Chi avesse il tempo di visitare tutto il continente africano, da Nord a Sud, da Est ed Ovest, capirebbe che gli “africani” non esistono. Ci sono popoli e culture che hanno alcune somiglianze e tante differenze tra loro.

Di questo si è accorto uno dei pochi autori europei in grado di presentare in maniera compiuta le questioni del continente.

Mi riferisco al polacco Ryszard Kapuściński, di cui consiglio tutte le opere tradotte in italiano, partendo da “Ebano”:

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