Gianluca Kwame Yeboah: il Ghana? Che cinema!

Il Ghana è un Paese in piena espansione. Dove realizzarsi professionalmente, soprattutto con una mentalità imprenditoriale, è meno folle di quanto si pensi.

Gianluca Romeo, classe 1982, ha lasciato l’Italia per il Ghana nel 2008. L’abbiamo incontrato per scoprire il suo percorso nello show business locale con lo pseudonimo Romeo Kwame Yeboah.

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Chi era Gianluca Romeo prima di lasciare l’Italia?

Un giovane pieno di ambizioni, con una grande voglia di avventura, che faticava a realizzare i propri sogni.

A Castel Volturno, dove sono cresciuto, ho conosciuto tanti ghanesi. Poco alla volta mi è sorta la curiosità di visitare il Paese di origine dei miei amici.

Come sei arrivato in Ghana?

Un imprenditore italiano nel settore delle costruzioni cercava un interprete per un progetto nel Paese. Oltre all’inglese e al francese già masticavo la lingua Twi e sono partito.

Dopo qualche tempo mi sono però accorto che gli sforzi per creare una mutua comprensione tra italiani e controparti locali non venivano apprezzati.

Ho quindi deciso di mettermi in proprio aprendo un locale, visto che avevo già esperienza nel settore.

Come sei diventato Romeo Kwame Yeboah?

Nel 2012, quasi per gioco, ho partecipato a un programma TV dove ho recitato alcuni sketch in lingua locale. Mi ha notato un produttore che mi ha proposto una parte in un film “made in Ghana” e così ho iniziato a occuparmi di spettacolo, come attore e cantautore ma anche come organizzatore di eventi.

Kwame è il nome maschile per i nati di sabato come me. Yeboah (“noi aiutiamo”) arriva da Castel Volturno come segno di riconoscenza da parte della comunità ghanese per i miei sforzi volti a superare le barriere linguistiche e culturali.

Com’è il settore cinematografico in Ghana?

Ancora piccolo e con tante difficoltà, ma effervescente. Ci sono due poli: Accra e Kumasi. Nel primo sorge la cosidetta “Ghallywood“: produttori che girano in inglese, raggiungendo un pubblico piuttosto ristretto.

A “Kumawood” si produce in Twi, la lingua franca del Paese. I produttori di Kumasi, anche se privi di raffinati equipaggiamenti, investono per raggiungere la diaspora ghanese nel mondo. Di fatto, Kumawood è una piccola Nollywood.

Ogni anno escono circa 250-300 film ghanesi. Numeri paragonabili alla Francia. Con la differenza che qui realizzare un film costa poche migliaia di euro, in Francia mediamente 5 milioni di euro.

Un consiglio a un giovane che volesse ripercorrere le tue orme?

Osare e provarci sempre. Per farsi strada in contesti del genere è necessario un grande spirito di adattabilità, un mix di coraggio e realismo.

Per fare cinema in Ghana bisogna saper sviluppare le relazioni senza mai dare troppa confidenza a produttori e direttori, altrimenti si rischia di essere sottopagati.

Un bianco che recita a queste latitudini è una rarità, specialmente se conosce bene la lingua locale. La cosa migliore è trovarsi un produttore onesto con cui lavorare in esclusiva.

Perché in Italia c’è così ignoranza sul mondo africano?

Viviamo in una sorta di trappola mediatica che è causa e conseguenza dell’ignoranza. La TV mostra solo Paesi dilaniati dai conflitti o dalla povertà. Quando non è così negativa, si mostrano tribù mezze nude in mezzo agli animali della savana.

Ma nella stragrande maggioranza il continente africano non è nulla del genere!

Un altro fattore è infine la mentalità italiana verso gli stranieri: pochi hanno voglia di documentarsi e approfondire davvero la realtà dei Paesi da cui provengono, senza generalizzare e semplificare.

Ma sono contento che, poco per volta, le cose cambieranno grazie alle nuove generazioni dove le rigide distinzioni nazionali andranno ad attenuarsi.

Qual è il tuo trucco per “far succedere le cose” in Ghana?

Come dicevo vince sapersi adattare. I ritmi africani sono più lenti e tranquilli dei nostri. Non è nè meglio nè peggio. È il loro ritmo di vita ed è giusto che lo mantengano, senza doversi per forza adattarsi ad altri stili.

Penso che gli occidentali abbiano già creato abbastanza danni in passato. Se ci si vuole davvero inserire nella società, non bisogna mai pensare di essere qua per insegnare o che i nostri metodi siano migliori dei loro.

Ci sarà senza dubbio modo di condividere cose utili per entrambi, ma la prima cosa da fare è imparare. Soprattutto, voler imparare.

L’unico modo di trasmettere qualcosa, come la puntualità agli appuntamenti, viene sempre dall’esempio. Senza far rumore nè aspettarsi nulla. Chi è desideroso di sperimentare nuove abitudini si avvicinerà naturalmente.

C’è molto, veramente molto, che si può fare insieme.

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