Studiare in Cina e sviluppare in quella terra una grande curiosità per l’Africa. Questa è la vicenda di Giovanni Mazzacani, 27 anni, ricercatore e aspirante diplomatico che ho il piacere di intervistare oggi.
Una storia che passa da quel vero e proprio hub di creatività e innovazione che è Nairobi e prosegue nell’intricata ma altrettanto affascinante capitale economica della Nigeria: Lagos.
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Ciao Giovanni e benvenuto! Ci racconti come è nato il tuo interesse per l’Africa?
Ciao Martino! Nel mio caso ho scoperto l’Africa in Cina. Nel 2012 ero a Shanghai per l’anno di double degree tra la Bocconi e la Fudan University. Ad impressionarmi furono i diversi colleghi africani: preparatissimi nelle materie economiche e fluenti in mandarino.
Chi mai avrebbe immaginato di trovare africani nelle aule di un’università cinese? Perché c’era un legame così forte tra la Cina e l’Africa? Non riuscivo a darmi delle risposte.
I conti non mi quadravano. Insomma, dovevo andare a vedere che cosa stesse davvero succedendo. Ma l’Africa non era quel “continente senza speranza”?
Quindi dopo l’anno in Cina sei subito ripartito?
Sì, appena rientrato presi contatto con la Strathmore Business School di Nairobi. Dopo qualche mese mi trovai in situazioni in cui ero l’unico bianco per strada, immerso nel caos di una città e di un paese all’avanguardia dal punto di vista tecnologico.
Già nel 2007, quando ancora in Italia c’era quasi zero familiarità con i pagamenti online, a Nairobi si cominciavano già a pagare via cellulare le bollette, le scuole, gli stipendi. Persino a fare la spesa al supermercato o a comprare la frutta al mercato,
Oggi, dieci anni dopo, M-PESA, questo il nome del rivoluzionario fintech ideato da Safaricom (gruppo Vodafone), ha 20 milioni di utenti nel solo Kenya ed è il principale servizio di pagamenti mobile al mondo. Il cambiamento che questa innovazione ha portato è incredibile.
In Italia quando arriverà questa tecnologia?
Hai discusso del caso M-PESA in Bocconi? Com’è andata?
Si, studiai il caso M-PESA per tre mesi a Strathmore e volli che diventasse il cuore della mia tesi di laurea magistrale sotto la guida del prof. Francesco Perrini.
Fu molto appassionante discuterne in Bocconi. Non penso che molti, prima di me, avessero parlato di Africa come mercato ricco di opportunità in quelle aule.
E dopo la laurea i tuoi progetti di ricerca sono continuati…
Esatto, neolaureato ho deciso di proseguire nel campo accademico con un paio d’anni di collaborazione con IESE Business School a Barcellona.
Con la sua IESE Africa Initiative è all’avanguardia nello studio dei mercati africani anche grazie alle tre business school che ha lanciato nel continente ormai oltre vent’anni fa: Lagos Business School in Nigeria, la già citata Strathmore in Kenya e MDE Business School in Costa d’Avorio.
Ora di cosa ti occupi oggi?
Da qualche mese lavoro come ricercatore presso le Nazioni Unite (UNCTAD) dove mi occupo di tematiche legate allo sviluppo economico e al commercio internazionale con un occhio di riguardo sempre rivolto verso il continente africano.
Ci spieghi meglio in che senso hai cambiato sguardo sull’Africa durante il soggiorno in Cina?
La Cina si relaziona con l’Africa in maniera totalmente differente rispetto a noi occidentali. Invece di parlare a livello teorico preferisco raccontarti la storia di Helen Hai, un’imprenditrice cinese arrivata in Etiopia nel 2011. In un paio d’anni ha assunto circa 3.500 lavoratori locali per produrre scarpe ad Addis Abeba.
Quando intervistai Helen (qui il link della mia intervista) mi disse: “voglio dimostrare che l’Africa può divenire l’hub manifatturiero del mondo”.
Ammetto però che il comportamento della Cina nel Continente Nero non è sempre brillante o, comunque, può lasciare perplessi.
Molte testimonianze confermano che spesso i progetti di investimento cinesi provocano proteste – a volte violente – da parte delle popolazioni locali, che si sentono sfruttate e messe da parte.
Due parole in particolare sulla Nigeria. In Italia (ma anche altrove in Africa) ha una nomea particolarmente negativa. Cosa hai visto?
La Nigeria non è certamente un paese facile. I problemi che tutti noi conosciamo, da Boko Haram ai rapimenti, sono reali e non sono da sottovalutare. Con i suoi 180 milioni di abitanti è il paese più popolato d’Africa. Solo a Lagos, la capitale commerciale, vivono oltre 25 milioni di persone!
Ogni giorno ero costretto a passare circa tre ore bloccato in macchina nel mezzo di interminabili code. Per motivi di sicurezza non ho (quasi) mai potuto prendere trasporti pubblici locali. Nessun problema: UBER funziona alla perfezione!
Tutti conoscono la Nigeria per il petrolio. Ora vorrei raccontarti invece il mio incontro con una Nigeria che mai ti aspetteresti. Un Paese che esporta arte e cultura in tutto il mondo! Rimasi affascinato quando misi per la prima volta piede a Terra Kulture, vero e proprio centro artistico e culturale a Lagos.
Andai a vedere mostre, musical, conoscendo artisti e collezionisti… Per non dilungarmi vi invito a leggere questo mio racconto e vedere qualche foto di questo incredibile polmone artistico nel mezzo di Lagos.
Un’ultima curiosità: sapevate che a Lagos c’è uno store di Ermenegildo Zegna? È il primo in Africa Sub-sahariana!
Come (e dove) ti vedi tra dieci anni?
Mi piacerebbe intraprendere la carriera diplomatica. Sto frequentando il master in diplomazia in ISPI e poi tenterò il concorso diplomatico.
Tra dieci anni (un bel po’ di più direi!) sogno di essere l’ambasciatore italiano in Kenya, il paese dove più ho lasciato il cuore.
Il tuo libro preferito sull’Africa?
Mi ha fatto molto riflettere Dead Aid (in italiano La carità che uccide). Forse un po’ estrema la tesi di Dambisa Moyo, economista dello Zambia con laurea ad Harvard. Sostiene che gli aiuti occidentali allo sviluppo (oltre mille miliardi di dollari elargiti alle economie africane a partire dagli anni Cinquanta) non siano la soluzione, bensì il problema dell’Africa.
Una sorta di elemosina che costringe il continente africano a una perenne adolescenza economica, rendendolo dipendente come da una droga dai Paesi ricchi e mai capace di reinventarsi in chiave imprenditoriale.
L’alternativa è chiara secondo la Moyo: seguire l’esempio della Cina, che negli ultimi anni è riuscita a sviluppare una partnership sofisticata ed efficiente con molti paesi della zona subsahariana. La Moyo mi pare un po’ forte nelle tesi presentate.
Resto comunque dell’idea che questo libro ci possa aiutare a sbarazzarci di tanti luoghi comuni sull’Africa e il suo sviluppo. Prendetelo dunque con le pinze ma leggetelo!
Qualche consiglio sul web?
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