Innovazione africana: uno slalom tra fatti e miti

Non è mia intenzione fare il guastafeste. Ritengo però che l’ecosistema innovativo africano debba andare oltre il semplice conteggio di hub e incubatori tecnologici.

Quali sono i risultati e il reale impatto di queste iniziative?

Non sarebbe più opportuno misurare il numero di startup investibili, i capitali effettivamente raccolti, il personale con una formazione adeguata, le partnership realizzate?

Sono sette anni che lavoro nell’ambito dell’innovazione tecnologica africana. Ho prodotto alcuni tool, scritto tanti articoli e insegnato in diversi corsi.

Ho sempre dato il massimo per condividere la mia esperienza: mentre lavoravo con tre diversi incubatori, quando affiancavo il lancio di altri e, negli ultimi tempi, come cofondatore di un incubatore a Dar es Salaam.

Ascoltando questa intervista a Shola Akinlade di Paystack (startup fintech nigeriana incubata da Y Combinator) mi sono chiesto:

dopo oltre dieci anni di rivoluzione digitale africana, quanto siamo stati in grado di supportare davvero gli imprenditori? Quanti concreti casi di successo concreti abbiamo?

Non voglio mettere in discussione gli sforzi. Ma mi chiedo se stiamo davvero facendo abbastanza.

Dopo due anni a San Francisco Paystack è un’azienda completamente diversa. Possiamo creare programmi africani in grado davvero di trasformare le startup che partecipano? Cosa c’è che non va?

L’ecosistema dell’innovazione in Africa si è molto evoluto negli ultimi anni. Dai primi tempi del blog White African, Savannah Fund, iHub, BRCK, eccetera. Oggi in tutto il continente stiamo vedendo aziende acquisite e startup che raccolgono milioni di dollari di investimenti.

Qualcuno potrebbe pensare che siamo ormai nella terra promessa.

Ragionando in modo critico, analizzando come e dove stanno emergendo queste nuove aziende in grado di raccogliere capitali, possiamo capire che sono davvero pochi i giovani imprenditori africani supportati da hub locali in grado di raggiungere anche solo un livello intermedio.

L’autore al lavoro presso Buni Innovation Hub nel 2013

Pochissimi hub tra i più di 400 citati nei diversi report possono essere orgogliosi del proprio operato affermando:

Siamo responsabili di questo ‘unicorno’ Africano. Quest’azienda è arrivata dov’è grazie al nostro supporto tecnico.

La maggior parte delle startup africane di successo hanno certo contatti con gli hub, ma di norma non sono stati davvero “incubati” da loro.

I founders di queste nuove aziende africane di successo condividono pochi tratti comuni:

  • hanno un solido background aziendale
  • hanno ricevuto un’ottima educazione all’estero
  • sono tornati in Africa dopo aver soggiornato qualche anno oltremare
  • hanno una solida rete o lavorano con co-fondatori stranieri.

A parte eventi e meetup costoro hanno poco a che fare con gli hub locali. E gli hub traggono uno scarso beneficio dai loro successi. Perchè questi imprenditori utilizzano le società di consulenza globali per prepararsi a ricevere investitori e molto raramente si aspettano di ottenere questi servizi da locali.

Insomma, mentre tutti gli hub sostengono di sostenere i giovani imprenditori africani, i fatti parlano diversamente.

Di solito questi spazi ospitano “Want-preneurs“: imprenditori nella fase embrionale. Molto, molto raramente questi sono in grado di trasformare le loro imprese in attività investibili.

C’è chi dirà che alcuni hub hanno obiettivi diversi. Che non è la loro mission principale.

Ma allora mi chiedo quale sia questa missione. Stanno supportando la formazione di giovani in grado di trovare un lavoro? Quanti lavorano oltre a frequentare hackathon e meetup? Come misurare l’impatto di queste iniziative?

Da una parte è successo tanto nell’ecosistema. Ma dall’altra l’incubatore africano medio non è ancora cambiato. Troppi hub funzionano senza avere un business model, i servizi offerti agli imprenditori sono ancora di livello medio-basso, troppo poche startup attraggono investimenti, pochissime startup africane stanno davvero emergendo.

Insomma, mancano programmi con risultati misurabili.

La maggior parte degli incubatori vivacchia sulle donazioni e i fondatori si fanno strada con il bootstrapping. Non c’è da meravigliarsi se per ogni nuovo incubatore creato, ce n’è almeno uno che muore.

Organizzazioni come Infodev, DIY Toolkit, NESTA hanno sviluppato strumenti, risorse e community per supportare gli hub africani a trovare modalità di gestione commerciale, assicurando un impatto reale.

Ma chi usa davvero queste risorse? Stiamo dedicando tempo a sviluppare una strategia futura per questi spazi? Non ne sono così sicuro.

Se devo essere sincero credo piuttosto che gran parte di noi si limiti a copia-incollare modelli di vecchi hub, morti e sepolti. Nessuno monitora davvero i nostri progressi e viviamo di hype e vecchie storie di successo, quando ce ne sono.

Qualche tempo fa abbiamo selezionato i partecipanti per Sahara Sparks 2018. Abbiamo ricevuto 204 application da startup di cinque diversi Paesi, alcune incubate dai migliori hub del continente.

Posso affermare fiducioso che oltre il 90% delle startup africane non è ancora pronto per ricevere un investimento. Anzi, non è nemmeno in grado di preparare i documenti di base.

La domanda che mi passa per la testa è quindi:

che senso hanno tutti questi spazi se non riusciamo a preparare questi ragazzi? Per cosa stiamo costruendo reti di investitori?

Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che il modo in cui ci raccontiamo online è molto differente da quanto accade ogni giorno sul campo. Nel mondo dell’innovazione africana ci sono troppi discorsi e ancora pochi fatti.

Non sto dicendo che non sta succedendo nulla. È bello che l’ecosistema sia cresciuto, ma non dobbiamo confondere la crescita quantitativa con la qualità.

Ci sono ancora tante lacune da riempire. E forse stiamo chiedendo fin troppo da questi hub.

Di sicuro c’è tanto da fare se vogliamo ottenere progressi reali.

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Lungi da me presentarmi come un Messia dell’innovazione africana, ma credo ci siano quattro cose da fare per progredire rispetto al punto in cui siamo.

1. Programmi e attività

Tranne rare eccezioni, gli hub africani non hanno programmi con risultati misurabili. Amiamo troppo le attività a breve termine. Pochi incubatori/acceleratori hanno programmi ben strutturati per sostenere gli imprenditori.

Di solito non si monitora alcun progresso.

La maggior parte degli hub fa eventi di pitch, meetup e hackathon senza investire sulla progettazione e implementazione di programmi più lunghi e significativi che possano effettivamente far crescere le imprese.

Tutti gli hub di successo a livello globale (YC, TechStars, 500 Startup e simili) offrono programmi completi a supporto delle startup. Non si limitano a fare eventi da una giornata e saltare di qua e di là a seconda di chi arriva.

2. Abilità ed esperienza

Ai nostri hub mancano persone davvero competenti per sostenere la crescita delle aziende africane. È normale trovarne al massimo un paio con reale esperienza. Il resto del team è quasi sempre composto da dilettanti di scarso supporto alle startup.

Non è da meravigliarsi se la maggior parte delle giovani aziende africane non sia pronta per un investimento. Chi dovrebbe portarli a quella fase non è semplicemente in grado di farlo.

3. Mentoring e supporto tecnico

La maggior parte delle startup si lamentano per la carenza di fondi. Ma di solito questo è solo il 10% del problema.

La sfida più grande è la mancanza di mentoring e consulenza professionale. Gli hub africani devono imparare a collaborare con chi ha esperienza e creare reti di investitori.

Se vogliamo superare il livello medio, i founder devono avere intorno persone con sufficiente esperienza di gestione aziendale.

4. Business model e sostenibilità

Mentre si aprono nuovi hub, quelli vecchi stanno morendo. Pochissimi documentano la causa del loro fallimento e chi inizia non si preoccupa molto di imparare dagli errori altrui.

Dobbiamo completare questo puzzle per far funzionare questi spazi come aziende e poter avere un impatto duraturo nel tempo.

Finchè la maggior parte degli incubatori africani si baserà su progetti finanziati e quote associative non andremo lontani. Pochissimi guadagnano da quella che dovrebbe essere la loro missione principale: supportare le startup.

Non vedo formule magiche se non la necessità di continuare a riflettere.

5. Partnership significative

La principale ragione del fallimento degli hub africani è che cercano di fare tutto. Vogliono essere l’università, il governo, la società di consulenza e infine l’incubatore o acceleratore di imprese.

Si può fare tutto, purchè si trovi partner in grado di aggiungere valore alla propria missione principale.

È bello esplorare nuovi campi ma non si può cambiare ogni giorno. Cosa vuoi fare? Dove ti vedi tra qualche anno? Che tipo di partner ti occorrono?

Questi sono solo i miei spunti di riflessione.

Convinto, come dice un proverbio africano, che:

Se chiudi gli occhi sui fatti, imparerai attraverso gli incidenti.

Continuiamo ad imparare.

Post di Jumanne Rajabu Mtambalike, CEO di Sahara Ventures, tradotto e ripubblicato da Medium con il consenso dell’autore.

 

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