Oggi torno a parlare del mio primo amore: la corsa, passione che mi ha portato diciannovenne in Kenya sulle orme dei campioni locali. Chiedo quindi subito perdono se, in preda all’entusiasmo, mi lascerò andare a qualche tecnicismo di troppo 🙂
Decine di migliaia di giovani africani cercano di vivere di atletica, sport durissimo ma democratico: servono un paio di scarpe e tanta determinazione per capire se si ha il talento per sfondare e cambiare la vita.
In questo contesto ci sono opportunità per professionisti qualificati.
Un esempio di sana follia? Jeroen Deen, fisioterapista olandese che lavora da quindici anni tra Etiopia e Kenya con le migliori squadre di atletica.
Per inquadrare il soggetto vi dico solo che è lui ad aver seguito il grande David Rudisha prima che vincesse l’oro olimpico a Londra riscrivendo il record mondiale degli 800 metri!
Prima di dare la parola a Jeroen invito chiunque voglia LAVORARE IN AFRICA a entrare nel nostro gruppo FB privato raccontando le proprie competenze e aspirazioni!
Prima di tutto, come ti sei appassionato di atletica?
Imitando mio padre podista. A sette anni ho iniziato a frequentare il campo di atletica e, in poco tempo, a provare ogni specialità: dal Decathon al Martello fino alla mezza maratona! A 16 anni sono diventato allenatore.
Cosa hai studiato all’università?
Mi sono laureato in Economia Agraria, ma ho proseguito con Fisioterapia per trasformare la mia passione in un lavoro. All’inizio ho seguito squadre dei due sport più praticati in Olanda: calcio e hockey sull’erba.
Nel calcio ho ottenuto delle belle soddisfazioni. Dopo pochi anni di esperienza in Europa sono stato chiamato dalla nazionale della Nigeria con cui ho vinto uno storico oro olimpico ad Atlanta 1996!
Come hai deciso di trasferirti in Kenya e dedicarti all’atletica?
Nel calcio ho avuto un discreto successo ma non provavo grandi emozioni. Ho pensato di fare un giro in Kenya per capire quali fossero le reali possibilità lavorative. Era il 2002 e Lornah Kiplagat stava iniziando a costruire un centro sportivo con palestra, piscine, fisioterapia e hotel a Iten, la “Mecca del running”. Ho iniziato a lavorare con lei avendo un occhio di riguardo per la formazione dello staff locale.
Dopo sei anni le nostre strade hanno preso direzioni differenti. Sono rimasto a Iten ma spostandomi nel team di Gianni Demadonna. In quegli anni ho formato una ventina di kenyoti come masso-fisioterapisti e istruttori e circa trenta studenti europei come stagisti.
Ti sei poi spostato in Etiopia, dico bene?
Si. Nel 2012 ho avuto problemi a rinnovare il mio visto in Kenya e ho scelto di trasferirmi in Etiopia. Dopo due anni il coach Renato Canova mi ha proposto di seguire la nazionale cinese. Abbiamo lasciato dopo una stagione: troppi compromessi rispetto a come eravamo abituati a lavorare con gli africani.
Sono quindi tornato a Iten, regolarizzando il mio visto e concentrandomi su progetti mirati a riportare in attività atleti con infortuni di lunga data (per esempio Alice Aprot) continuando a seguire i migliori talenti emergenti. Nuovamente ad Addis Abeba ho collaborato con ESM, un’agenzia americana, per poi spostarmi a Sululta, un piccolo villaggio sulle colline poco fuori Addis. Il mio vicino di casa è Tariku Bekele di cui sono diventato… il fisioterapista di fiducia!
Oggi collaboro anche con Jos Hermens, manager di due “mostri sacri” quali Haile Gebreselassie e Kenenisa Bekele.
Chi sono stati gli atleti più forti che hai mai trattato?
In termini di velocità assoluta non ho dubbi: David Rudisha. L’ho seguito dal 2005 sino a Londra 2012, in cui ha fatto qualcosa di allucinante! In campo femminile Vivian Cheruiyot e Genzebe Dibaba. Mi è capitato di trattare anche Mo Farah che ha un finale di gara niente male!
Ho seguito tanti maratoneti in grado di correre i 42km in meno di 2:05’30” tra cui i primatisti mondiali Denis Kimetto, Wilson Kipsang e Patrick Makau, il vincitore di New York Geoffrey Mutai e tanti altri. Poi una ventina di donne da meno di 2:20’ tra cui l’attuale primatista del mondo Mary Keitany e l’etiope Tirunesh Dibaba.
l talenti più sregolati?
Moses Mosop e Tilahun Regassa. Entrambi corridori eccezionali ma mai veramente in grado di esprimersi. Valevano il record del mondo di maratona se avessero avuto intorno un team di supporto.
Il punto chiave per ottenere grandi risultati è riuscire e tenere l’atleta focalizzato grazie ad un team multidisciplinare costruito intorno a lui. È quello che oggi stanno facendo sia Breaking2 di Nike che Sub2 di Adidas!
L’approccio kenyano e quello etiope. Qual è più efficace?
Lo sport è lo stesso ovunque. I principi di allenamento equivalenti. Gli allenatori stranieri che formano i locali sono gli stessi. È solo l’orgoglio che fa dire agli uni di essere differenti o superiori agli altri. Anche l’altitudine la stessa: 1900-3000m ad Addis Abeba, 2000-2800 in Kenya.
Le uniche vere differenze sono le superfici e la logistica: gli etiopi corrono volentieri sull’asfalto, i kenyani molto di rado. I kenyani si allenano dove vivono, quindi nelle zone rurali. Gli etiopi invece, per abitudine e organizzazione federale, devono risiedere in capitale. Si spostano due volte al giorno nelle zone di allenamento fuori città sprecando peraltro tempo ed energie.
Questo spiega perché coloro che cercano di vivere di atletica siano 4 volte di più in Kenya. Il costo della vita di Addis tiene molti giovani etiopi fuori dai giochi.
Qual è il vero segreto degli atleti africani?
Sono stati evidenziati ben 43 fattori per spiegare il dominio incontrastato dell’Africa Orientale in tutte le distanze dagli 800 metri alla maratona. Sai cosa penso? La vera differenza è il contesto di provenienza (villaggi rurali dove la vita è davvero dura) e la conseguente, enorme, volontà di cambiare la propria vita.
Perché ami il tuo lavoro?
In primo luogo per l’opportunità di vedere come cambia la vita di chi scopre di avere un talento eccezionale, che a sua volta può cambiare la vita di tutti coloro che ha intorno.
Mi piace formare fisioterapisti locali con la medesima passione degli atleti. Forse non è sempre la modalità più redditizia per me ma, se devo dirla tutta, non sono venuto in Africa per avviare un’azienda ma per lasciare un’eredità di competenze.
Cosa consiglieresti a un giovane che volesse seguire le tue orme?
Non penso sia una buona idea venire qui troppo giovani. Il rischio sarebbe perdersi importanti esperienze di vita. Io mi sono trasferito in Kenya a 37 anni, dopo 14 anni come fisioterapista in Europa. L’Africa è oggi il posto dove mi sento a casa ma va detto che ci ho messo oltre un anno per avere la fiducia degli atleti.
Sconsiglio di stare troppo soli. Occorre essere parte di un sistema, di norma un’agenzia di management, avvalendosi di assistenti locali (in Etiopia peraltro è indispensabile, vista la scarsa conoscenza dell’inglese). Solo così si può avere un vero impatto. In troppi vengono in Africa con l’idea di “aiutare” e tornano giusto a casa con un po’ di belle foto su Instagram!
Per vivere qui bisogna essere capaci di stare bene con se stessi. È facile avere molti “amici africani” ma, di fatto, si resta sempre degli stranieri.
Ho visto tanti giovani arrivare e passare brevi periodi di lavoro per poi ripartire convinti di aver capito tutto. Beh, sappiate che se non passate periodi lunghi non saprete mai chi sono veramente gli Africani!
Ho visto anche terapisti focalizzarsi solo su pochi atleti ai massimi livelli, evitando di lavorare con i numerosi talenti emergenti. Secondo me questo è un peccato. Va benissimo lavorare con qualche top del giro della nazionale, ma l’approccio dev’essere diverso. La vera sfida è fare esperienza diretta dell’enorme lotta che combatte un atleta all’inizio del suo percorso.
Cosa suggerisci per capire l’atletica in questa parte di mondo?
Negli ultimi anni sono usciti tanti documentari. Mi piace molto Gun Runners, per la cui realizzazione sono serviti cinque anni. Stesso tempo è stato necessario per girare 100 secondi per battere il mondo che parla di Rudisha e del suo coach irlandese Colm O’Connel.
Carino The Unkown Runner sul fenomenale Geoffrey Kamorwor. Diversi infine i documentari sui gemelli neozelandesi Jake e Zane Robertson che si allenano da dieci anni a Iten e danno un bel punto di vista sull’atletica locale.
Tutte le interviste a Canova fanno capire quanto poco in Occidente si capisca di corsa di resistenza. Per quanto abbia allenato alcuni tra i migliori europei di sempre, Renato sostiene che solo lavorando con gli africani ha iniziato a imparare qualcosa di serio sulla corsa:
Nel 2000 ho scritto un libro sulla maratona. Oggi sarebbe da riscrivere per metà. Questo semplicemente perché gli atleti mi hanno mostrato quanto mi sbagliassi! E quanto fossi pervicacemente attaccato a quanto ero convinto di sapere.
Beh, piano piano ho capito che anche nella fisioterapia è lo stesso.
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