Lavorare in Angola è facile, se sai come farlo.

Lavorare in Africa, precisamente in Angola, può essere una prospettiva meno “esotica” di quanto si pensi comunemente.

È quello che emerge parlando con Riccardo Bottone, 46 anni, esperto di finanza e consulente aziendaleOriginario di Mortara (PV), Riccardo vive da 13 anni a Luanda, capitale dell’Angola.

Per chi non se lo ricordasse l’Angola è uno dei cinque paesi africani di lingua portoghese, insieme a Mozambico, Guinea Bissau, Capo Verde e Sao Tome e Principe. Un paese che ha conosciuto una crescita vertiginosa fino al 2014, quando il crollo del prezzo del petrolio ha fatto emergere la necessità di diversificare l’economia.

Ad ogni modo una città cosmopolita e che offre opportunità di lavoro molto interessanti. Tipicamente colte da portoghesi (e brasiliani) per questioni linguistiche, sono accessibili a tutti coloro che hanno la volontà e perseveranza di mettersi in gioco in un contesto dove la forma mentis italiana può essere un vantaggio.

Vediamo insieme come.

Ciao Riccardo e benvenuto! Come sei arrivato in Angola e cosa fai oggi?

Ciao Martino, tutto è iniziato nel 2004, quando decisi di prendermi un anno sabbatico dal mio lavoro a Milano. Volevo fare un’esperienza nella cooperazione allo sviluppo e sono arrivato in Angola “per caso”, rispondendo a un annuncio di lavoro di una ONG. Mi sono poi fermato altri due anni sempre nella cooperazione, per poi tornare a lavorare nel mio settore (finanza aziendale) restando in Angola.

Nel mentre ho conosciuto Edna, che oggi è mia moglie. Anche lei è consulente aziendale. Nella foto qui sotto NON siamo a Luanda! 🙂

Sapevi già il portoghese?

No, ma parlavo abbastanza bene lo spagnolo, il che mi ha inizialmente un po’ aiutato. Il portoghese “minimo” per comunicare noi italiani lo impariamo molto in fretta, poi dipende da cosa si vuole. Io ho fatto dei corsi per migliorare sia lo scritto che il parlato e ne ho riscontrato grandi vantaggi.

Ci racconti la tua giornata tipo a Luanda?

Vado a lavorare in ufficio, esattamente come facevo in Italia. Sveglia alle 7, doccia, caffelatte, crocchette ai cani, scooter (o auto, se piove o se sono in giacca e cravatta), ufficio, eventualmente riunioni fuori, pausa pranzo (se ho tempo vado a casa, in scooter ci metto 10’), poi lavoro al pomeriggio e alla sera un po’ di sport (jogging o calcetto). Poi cena, crocchette ai cani bis, chiacchiere con mia moglie, o TV, letture ecc. e nanna.

I fine settimana?

Nei week end un po’ di spesa e appena possibile andiamo in spiaggia (a soli 5 minuti da casa) sperando che ci sia vento per fare kitesurf. A volte facciamo gite fuori Luanda (l’Angola è un paese con una natura splendida), stiamo con gli amici, oppure andiamo al cinema o a ballare.

Quanto spesso torni in Italia?

La frequenza dei rientri in Italia dipende dal datore di lavoro del momento. Attualmente ho un contratto da espatriato piuttosto generoso che mi permette di rientrare circa tre volte all’anno. In passato però ho lavorato con condizioni meno favorevoli, facendo solo venti giorni di ferie una volta l’anno.

Cosa ti manca di più dell’Italia?

Un po’ di tutto: famiglia e amicizie, cibo, dialetto, i modi di dire e le usanze. Addirittura il freddo e la nebbia d’inverno. Tuttavia ho raggiunto un buon equilibro e, quando è ora di ripartire per l’Africa, ci torno volentieri.

Qual è la più grande soddisfazione di lavorare in Angola?

Qui ho sempre avuto buone opportunità di lavoro, con posizioni di responsabilità e ruoli stimolanti. Quindi direi che la più grande soddisfazione è proprio la crescita professionale.

E la più grande difficoltà? Come la superi?

Le difficoltà sono legate al fatto che le inefficienze (di vario genere) sono maggiori.

Ma noi Italiani abbiamo quella duttilità che ci permette di riuscire a “far succedere le cose” nei tempi previsti e con la qualità desiderata.

Quali sono le principali opportunità lavorative in Angola?

È difficile risponderti. In Angola c’è un enorme gap di competenze tra la scuola e il mondo del lavoro per cui in linea di principio i ruoli tecnici sono ricercati in tutti i settori.

Tuttavia i selezionatori delle aziende considerano molto la conoscenza della lingua portoghese e l’esperienza in Africa, per cui è piuttosto difficile iniziare senza aver già lavorato qui. È più semplice per ruoli più senior.

Italiani ce ne sono pochi e siamo tutti “cani sciolti” come me, nel senso che ognuno è arrivato in Angola con un suo percorso particolare, non certo per il “sistema Italia” (aziende e istituzioni) che è ahimè pressoché inesistente.

Altri paesi come Portogallo, Spagna, Francia, Cina, Paesi Nordici, Russia, Israele, ecc. hanno relazioni istituzionali più strutturate, linee di credito, programmi di supporto alle aziende, il che genera molte opportunità di lavoro. Qui in Angola ci sono ovviamente moltissimi Portoghesi in virtù dei fortissimi legami tra i due paesi.

Un errore che, se potessi tornare indietro nel tempo, non rifaresti?

Guarda Martino, di errori se ne fanno a tonnellate, più o meno gravi, e, direi che ci vogliono tutti, perché se non ci si scotta non si impara.

Del mio periodo qui in Angola non ho grandi rimorsi, forse un po’ troppa impazienza, a volte, ma preferisco avere rimorsi che rimpianti.

Come (e dove) ti vedi tra dieci anni?

Tra Angola e Italia. Magari in proporzioni diverse rispetto a oggi se riuscirò a mettere in piedi qualche iniziativa o attività lavorativa in Italia.

Un libro o film che consigli per provare a capire l’Angola?

Eviterei la saggistica che spesso ha un’ottica euro-centrica o comunque applica schemi “importati”. Tradotti in Italiano ci sono alcuni libri della collana del detective Jaime Bunda dello scrittore Pepetela.

Hanno una ambientazione degli anni ’80, un po’ datata, ma le storie sono molto belle, raccontano bene la vita reale da cui traspare una certa “prossimità” con la nostra cultura latina.

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La prima foto di Luanda by night è del fotografo internazionale Kostadin Luchansky. Le altre foto provengono dai profili social di Riccardo.

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