L’Africa non è povera, al massimo impoverita

Iniziamo con una favola.

C’era una volta…

…un continente abitato da popoli semplici e primitivi. Non facevano altro che suonare il tam-tam, ballare intorno al fuoco e combattersi tra loro, divisi in tribù bellicose e dedite a culti sanguinari.

Poco alla volta i popoli confinanti si accorsero delle ricchezze che si celavano nel sottosuolo e decisero di conquistarli.

Senza quasi resistenza, del resto i locali erano selvaggi inetti, gli invasori instaurarono un nuovo sistema. Governarono queste terre per decenni, sottraendo risorse ma lasciando i segni della civiltà visibili ancora oggi.

Un bel giorno, mossi dalla loro nobiltà d’animo, i padroni coloniali decisero che era tempo di cambiare. Bisognava iniziare a condividere una parte di quelle risorse per “sviluppare” quelle terre così povere.

Queste terre sono Stati indipendenti e sovrani.

Purtroppo non sono ancora capaci di farcela da soli. Per questo motivo i nipoti e i bisnipoti degli invasori continuano, generosamente, a fare del loro meglio per aiutarli.

Forse i locali non riescono a “diventare-come-tutti-gli-altri” perchè sono confusi, magari un po’ meno intelligenti della media.

Di sicuro non hanno troppa voglia di lavorare.

Del resto… sono così diversi con quella pelle scura.

Oggi poi si sono tutti messi in testa di voler scappare. Già, da loro ci sono tutte quelle guerre perchè da soli non sono mai stati capaci di governarsi civilmente!

Ma piano, piano ce la faremo!

E vivranno felici e contenti. Come noi.

Chi ha capito questa favola?

Io, Antonio! La so! 

Prego.

I selvaggi sono gli africani. Gli invasori le potenze coloniali. All’inizio gli europei gli rubavano tutto. Oggi però, grazie agli aiuti allo sviluppo, le cose stanno pian piano andando meglio. 

Giusto?

Non proprio.

Prendiamo un anno recente, ma su cui ci sono stime affidabili: il 2012.

Nel cosiddetto “Sud del mondo” sono entrati circa 1,3 trilioni (miliardi di miliardi) di dollari: aiuti allo sviluppo, investimenti e altre entrate (incluse le rimesse degli emigrati).

Nello stesso anno, ne sono usciti… 3,3!

Ergo i nipoti dei “selvaggi” aiutano il “generoso Nord” per circa 2 trilioni di dollari ogni anno.

Il bilancio è costante, o in peggioramento, negli ultimi trent’anni.

Flussi in entrata/uscita tra Nord e Sud del mondo

Non ci credo Antonio, ma come è possibile?

Tra le principali componenti di questi immensi flussi in uscita vi sono gli interessi sui prestiti e i profitti degli investimenti diretti esteri.

Opinabili, in alcuni casi. Ma pienamente “legali”.

Tuttavia, una componente fondamentale di questa perdita secca è legata ai flussi finanziari illeciti: capitali che escono con le pratiche abituali nella rete del commercio internazionale tramite il misinvoicing ovvero la fatturazione scorretta.

Una prassi adottata dalle imprese – tanto estere quanto locali – che riportano prezzi falsi sulle loro fatture per trasferire denaro nei paradisi fiscali. La stessa procedura viene usata tra filiali di una stessa impresa multinazionale.

Schema del misinvoicing internazionale verso i paradisi fiscali

Nell’ultimo decennio, questi flussi finanziari hanno rappresentato tra il 14% e il 24% del totale degli scambi commerciali dei paesi in via di sviluppo (a seconda delle stime), scaricando enormi costi sociali sulle popolazioni di questi paesi (peggioramento dei già scarsi elementi di Welfare come scuole, ospedali e protezione sociale).

Stima dei deflussi finanziari illeciti per i paesi in via di sviluppo (2005-14: miliardi di euro)

Raymond Baker, fondatore e presidente di Global Financial Integrity, definisce i flussi finanziari verso i paradisi fiscali il “maggiore motore di disuguaglianza nei paesi in via di sviluppo“.

Tuttavia, questa disuguaglianza non è sempre dovuta a pratiche strettamente “illegali”.

Uno per tutti gli accordi (economici e di cooperazione militare) tra la Francia e le sue ex-colonie africane con relative reti clientelari e filiere delle materie prime di diretta emanazione coloniale (es. Uranio in Niger, cacao in Costa d’Avorio, arachide in Senegal).

La stessa pratica della cooperazione allo sviluppo, quella che spinge i nipoti o bisnipoti degli invasori a restituire “spontaneamente” risorse, è assai poco efficace.

In primo luogo si tratta di noccioline.

Se il target OCSE è pari al 0,7% del PIL, solo il Regno Unito ha raggiunto questo obiettivo. Paesi come l’Australia (0,22%) o l’Italia (0,16%) sono molto lontani.

Inoltre, circa l’80% di questi budget coprono, direttamente o indirettamente, stipendi e altre spese di struttura di organizzazioni che, ovviamente, devono “primum vivere, deinde philosophari” anzi “sviluppari” (includendo nel “vivere” spesso stipendi a cinque zeri e generosi Per Diem).

Queste dinamiche viziose sono particolarmente rilevanti in Africa Sub-Sahariana.

I flussi finanziari illeciti in uscita, in percentuale sul totale degli scambi commerciali con i soli paesi avanzati, hanno raggiunto il 7,5% del totale nel 2014: quota superiore a qualunque regione del mondo!

Flussi finanziari illeciti in uscita, in % del totale degli scambi commerciali con i paesi in via di sviluppo (media 2005-14)

Oggi l’Africa conta circa 165.000 ricchissimi: insieme possiedono partecipazioni combinate di 860 miliardi di dollari su cui non pagano tasse in quanto detenuti offshore.

E questa fortuna cresce circa del 20% annuo.

Mi stai dicendo che l’Africa continua a rimetterci?

Beh, non lo dico io.

I dati disponibili mostrano che l’Africa Sub-Sahariana viene drenata di risorse dal resto del mondo: ogni anno perde molto più di quanto riceva. Entrano ogni anno circa 161 miliardi di dollari (aiuti, prestiti, investimenti esteri e rimesse), ne escono in varie forme almeno 202.

Se la matematica non è un’opinione (e le stime sono piuttosto conservative) la regione subisce una perdita netta di almeno 41 miliardi di dollari all’anno.

In altre parole…

Il totale dei flussi finanziari dai paesi in via di sviluppo ai paesi industrializzati ammonta a circa 3 trilioni di dollari all’anno, ovvero oltre 24 volte più del totale degli aiuti ricevuti.

Ciò significa che per ogni dollaro di sostegno ricevuto, i paesi in via di sviluppo ne perdono 24.

Di fronte a dati come questi, tutta la retorica sulla “fine del colonialismo” diventa un po’ naive.

Per cambiare le cose e sostenere la partecipazione attiva dell’Africa all’economia globale bisognerebbe:

  • supportare la lotta contro le pratiche commerciali illegali
  • applicare le norme anticorruzione
  • migliorare la riscossione delle imposte da parte dei governi locali
  • salvaguardare la gestione delle risorse naturali.
  • sostenere le riforme istituzionali necessarie alla crescita di settori produttivi locali

Non ci si arriverà senza una maggior consapevolezza e sforzi per decolonizzare lo sguardo.

Altrimenti, vai poco lontano anche volando per migliaia di chilometri.

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