In questo post provo a riassumere, semplificando al massimo, cinque aree in cui possono facilmente nascere equivoci e incomprensioni interculturali tra occidentali e africani.
Il tema è caldo e ci tengo a sottolineare che:
- Sarebbe più opportuno usare il plurale “Afriche” per descrivere questo multiforme universo. Mi limito a segnalare alcuni elementi comuni, senza pretesa di universalità, consapevole che la cultura è un terreno vivo e in continua evoluzione, a maggior ragione in un continente dove metà della popolazione ha meno di 18 anni.
- Se è possibile abbozzare una descrizione dei tratti culturali (sempre approssimando e sospendendo il giudizio) non ha invece nessuno spazio di legittimità un discorso sulle razze dicendo “i neri sono fatti così” o “i bianchi cosà”… Ogni persona è la risultante del contesto socio-culturale in cui è cresciuta. Il colore della pelle, rispetto al comportamento umano, ha più o meno la stessa influenza che ha il colore dei capelli o quello degli occhi.
- Le mie riflessioni nascono da anni di frequentazione dei contesti urbanizzati e “istruiti” (università, imprese e associazioni locali). Interagire con le campagne significa confrontarsi con differenze ancora più mercate, a partire dalla barriera linguistica.
Ti ringrazio se vorrai integrare con la tua esperienza diretta nei commenti.
1. Tempo
Quando si parla di orari, pianificazioni e scadenze gli equivoci sono all’ordine del giorno. Per una serie di ragioni (culturali ma anche socio-economiche) in Africa si vive soprattutto concentrati sul presente. La mentalità “moderna” è invece focalizzata sul pianificare i minimi dettagli del futuro, fino al punto di non apprezzare il presente.
In gran parte delle culture africane era (è) tabù parlare di eventi negativi. Si pianifica augurandosi che le cose “vadano bene”, spesso non considerando i possibili imprevisti. Questo stesso motivo spiega peraltro anche la scarsa diffusione delle assicurazioni: si è restii a considerare l’eventuale scenario negativo perchè si teme implicitamente di “evocarlo”.
In sostanza l’occidentale pensa (a torto o a ragione) di possedere un grande livello di controllo sul futuro.
In “Africa” si è convinti (a torto o a ragione) di averne poco o nulla.
La stessa equazione tempo = denaro, assurto a dogma fideistico per l’Occidente, non è scontata nel mondo africano. Il tempo è visto un’occasione per far crescere le relazioni con altre persone.
E il denaro sia una conseguenza delle buone relazioni sia un mezzo per svilupparle.
2. Denaro
Anche se la modernità spinge in un’altra direzione, l’africano tende tipicamente a pensarsi come un “NOI” più che come “ME”. Essere interdipendenti anzichè indipendenti è percepito come la condizione normale dell’essere umano.
A ben pensarci nasciamo dipendenti da altri (i genitori, la famiglia) e torniamo ad esserlo da anziani o malati.
In quest’ottica è normale condividere il surplus di denaro (o di beni inutilizzati) con la famiglia e gli amici. La stessa pratica, in assenza di welfare, è anche un evidente investimento “previdenziale”.
Se in Occidente è fuori luogo chiedere soldi a un parente o a un amico (eccetto i casi più estremi, si pensa comunemente che la cosa metterebbe a rischio la buona relazione), in Africa lo stesso atteggiamento è considerata il modo più semplice di cementare il legame stesso in vista di uno scambio del prestito/dono.
L’africano che si trova nella situazione in cui “tutti ti chiedono soldi” prova, spesso, una sorta di orgoglio per aver raggiunto un certo status (salvo poi doversi inventare degli stratagemmi per evitare di soccombere a tutte le richieste).
Da ultimo il discorso prezzi: in Africa ci si attende che vengano negoziati da chi compra.
Acquistare senza trattare non costruisce in fondo alcuna relazione tra cliente e venditore (beninteso: NON sto parlando di supermercati, ristoranti o altri esercizi che espongono un listino prezzi).


3. Amicizia
Nel mondo occidentale, al di là del vacuo significato del termine assunto con i social, essere amici significa “stare bene insieme” o “divertirsi”. In Africa vuol dire piuttosto “essere alleati”. Il dono svolge un ruolo essenziale: è il mezzo per sviluppare l’amicizia stessa.
Gli interessi in comune, il “fare qualcosa”, passano in secondo piano rispetto allo “stare insieme” (di norma condividendo cibo e bevande).
La relazione ha la priorità su tutto. Per capirci, se in Europa è prassi comune pianificare il momento in cui si incontra un amico, in Africa proprio a causa del legame di amicizia ci si aspetta che l’amico possa presentarsi in qualunque momento a casa propria.
4. Spiritualità
Mentre l’occidentale si domanda “è vero?” (e sulle dispute teologiche conseguenti si è scannato per secoli), l’africano si chiede “funziona?”
In quest’ottica la stragrande maggioranza degli africani postula l’esistenza di un Dio Creatore, che non si pretende troppo di descrivere, se non come emanatore della forza vitale che fa prosperare gli esseri viventi.
Le religioni rivelate (cristianesimo e islam) sono strumenti “esterni” adottati per ragioni funzionali (es. commerci transahariani, influenze coloniali) ma che poggiano sul forte sostrato tradizionale che collega il mondo fisico a quello spirituale.
Come conseguenza, è prassi comune ritenere che le disgrazie siano “causate da qualcuno”. Indipendentemente dal livello sociale, gli africani sono convinti che sia possibile agire sulla realtà tramite interazioni soprannaturali. Un mondo di pratiche che gli occidentali classificano come “stregoneria”… salvo poi spendere milioni in cartomanti, fattucchiere, santini di Padre Pio e antidepressivi.
Entità molto materiali come la terra sono profondamente avvolte dal senso del sacro.
Tanti professori universitari africani con cui ho lavorato parlano della terra ancestrale come di un’entità mistica: il luogo dei propri antenati dove anch’essi desiderano essere sepolti.
Mentre la morale occidentale è incentrata sulla violazione della regola, quella africana è primariamente preoccupata di ciò che viola la relazione umana (per inciso, agli occhi di un nord-europeo anche gli italiani ragionano in questo secondo modo).
Per fare alcuni esempi, proseguendo nella generalizzazioni, queste sono alcune azioni percepite come immorali dal punto di vista africano:
- non condividere quanto si possiede con chi chiede e ha bisogno
- insultare o ignorare un anziano
- perdere le staffe in pubblico
- diventare adulti e non avere figli
Al contrario sono considerati corretti quei comportamenti che, pur trasgredendo una regola formale, promuovono la relazione con l’altro:
- non far notare un’offesa o un’ingiustizia (promuove l’armonia)
- ignorare la segnalazione di un problema (pace)
- assumere un parente anzichè la persona con più competenza (lealtà)
- seguire il gruppo anche se non si è d’accordo (solidarietà)
- indebitarsi per aiutare un parente (generosità)
5. Conflitto
Fuori dai confini del mondo “bianco”, lo stile di comunicazione occidentale è ovunque percepito come troppo diretto. L’africano non valuta tanto la franchezza (che spesso porta al rischio di un conflitto) quanto a evitare di “far perdere la faccia” all’interlocutore.
Le opinioni sono quindi espresse con un certo tatto, lasciando ampi margini di interpretazione. In questo quadro il linguaggio non-verbale vale spesso di più di quello verbale.
Un equivoco tipico è legato alla dinamica della domanda/risposta chiusa. Il mondo della cooperazione allo sviluppo, ma anche quello degli investimenti esteri, è costellato di fallimenti legati a studi di fattibilità effettuati con domande che portano gli africani a dare invariabilmente ragione agli intervistatori bianchi (e quindi percepiti come personalità “di rango”).
Anche se pensano esattamente il contrario.
Negli anni mi sono accorto quanto sia opportuno evitare sempre di mettere una parte della risposta nella domanda.
Anzichè chiedere “erano presenti tutti gli invitati all’evento?” dico “quante persone erano presenti all’evento?” Nel primo caso l’interlocutore mi risponderà “SI” per non contraddirmi.
Nel secondo (forse) dirà il numero corretto. Anche in questa situazione, la priorità è quella di non rovinare il clima relazionale.
Ci si aspetta che i problemi (es. un feedback negativo sul piano professionale) vengano affrontati indirettamente e mai in pubblico, per non ricoprire mai il ruolo di “colui che fa esplodere il conflitto”.
Di conseguenza, le riunioni in Africa tendono a essere momenti di rappresentanza. Le decisioni reali sono spesso prese prima o dopo, in forma privata tra gli attori chiave.
Hai aneddoti personali/suggerimenti sulle relazioni interculturali? Lascia il tuo commento qui sotto!
Per approfondire consiglio questo libro di Debbie DiGennaro (con prefazione di Laurenti Magesa) e di iscriverti al gruppo VadoinAfrica Network
Giustamente metti in rilievo che ci sono eccezioni e variazioni a livello di individui, gruppi, regioni e paesi ed in generale tra cittá e campagna. Detto questo credo che quanto da te detto mostri che ci sono veramente 5 punti importanti di differenza ma forse quello da evitare é la romanticizzazione di tutto ció, tipo il vecchio bellissimo ed autoironico film Man Friday, per chi l’ha visto e se lo ricorda. Io terrei anche presente che le culture contadine ed i lori ritmi son comuni a tutto il mondo e lo sono anche con il nostro passato contadino. Ovvero, ad esempio, la visione “africana” del mondo, molto contadina, con il suo forte afflato soprannaturale che in Africa é dominato da famigliari ed amici morti che dispongono dei vivi (gli Dei dei greci?), in modi apparentemente differenti é in realtá comune a molte altre parti contadine del mondo. In un paesino campagnolo vicino a Roma dove vivevo io, una vicina era una Strega, cosa segretamente saputa da tutti, e riconosciuta immediatamente da una conoscente africana sensitiva e ben a conoscenza di tal tipo di credenze e pratiche. Quindi specificitá africana o contadina? Ci siamo passati noi e ci sono dentro molti altri, non solo in Africa. A parte gli aspetti lugubri di tutto ció (che ci sono) la questione dei tuoi 5 punti é come tutto ció si relazioni con la “modernitá” in cui viviamo e che tutti rincorrono, giustamente anche in Africa. Spesso tutti questi aspetti rallentano la modernizzazione e a volte la bloccano e distorcono. Si pensi allo Swaziland, al suo re e alle sue mogli vergini scelte annualmente, diventata una cerimonia turistica. La questione mi sembra quindi come si conserva l’essenza positiva di quanto detto, si abbandona quella negativa e si entra seriamente nella “modernitá”. Il miscuglio acritico di antico che si mischia con una superstruttura apparentemente di modernitá, ma realmente di corruzione e dominio, é ció che fa scappare da questo continente e blocca il vero sviluppo. PS. Non sono sicuro di essere stato chiaro. Vivo e lavoro da 40 anni nelle Afriche dell’Est, dall’Egitto al Sudafrica.
Grazie Bruno! Il tuo commento è molto vero (la cultura è molto figlia delle situazioni socio-economiche). Penso che il continente abbia appena iniziato a confrontarsi “criticamente” con la modernità… putroppo ci sono tanti poteri che non vogliono che questo succeda ma accadrà e, in un modo o nell’altro, penso porterà spunti preziosi all’Occidente stesso. Ad ogni modo è un processo molto complicato dove il rischio distorsione è alto. Un caro saluto
Bello interessante soprattutto negli esempi che riporti sulla spiritualità africana! Grazie . Balankeia
Grazie Balankeia! 🙂
Grazie dell’articolo. In effetti se penso alle persone africane che conosco, un po’ mi torna. E mi aiuta a capirle meglio 🙂
Grazie Laura! Ovviamente è un’iper-semplificazione 😉
Tutto giusto. Ma il problema non é che gli africani sono più bravi di noi. Il problema dell’occidente é proprio il fatto di essere andato avanti nella modernizzazione della società dell’industria etc. Evoluzione che ci é costata e ci costa in termini di umanità in senso generale. Siamo più soli più stressati andiamo sempre di corsa più egoisti abbiamo paura del futuro e non riusciamo a sfruttare bene il presente etc. I punti che descrivono la cultura africana dell’articolo potrebbero descrivere tranquillamente quello che accadeva da noi 150 o 100 anni fa
molto vero! il mio intento non era giudicare piuttosto fornire degli spunti per diminuire le incomprensioni. a presto! Martino
Molto interessante l’articolo, anche per me che vado in Kenya dall’87 ogni anno, e anche 2 o 3 volte all’anno; la mia prima Africa è stata la Tunisia, poi l’Egitto 3 volte, io mi sento a casa mia, ne ho avuta una in affitto a Malindi, quest’anno sono andata in Tanzania in un villaggio della Catena “Bravo”, c’era mezza Brianza e non mi sono trovata bene. Mi manca il Madagascar alla ricerca sull’Africa, spero il prossimo anno. Appena arrivo mi ritorna la voglia di scrivere poesie…Non ho mai avuto problemi di non essere capita o di non capire loro. Mi sono sempre interessate le Etnie i paesaggi Africani…amo l’AFRICA e li son più felice che in Italia!
Bravo Martino, questo post è uno dei più interessanti che abbia letto finora!
Se più persone fossero disposte ad abbandonare il giudizio e ad affrontare con questa lucidità le differenze culturali, si eviterebbero molte incomprensioni, ma soprattutto si smonterebbero molte pretese di superiorità. E non solo nei confronti dell’Africa…
Grazie Luca! 🙂 Senza dubbio serve valorizzare il ruolo delle “diaspore” (es. africani residenti da tempo in Italia piuttosto che italiani con lunga esperienza in Africa) nel comporre le differenze ed evidenziare le similitudini…
Vivo in Africa da un anno e mezzo e alcune cose comincio a capirle e a dare loro un senso solo adesso. Parlare di Africa e’ vero e’ parlare di mondo, non si puo’ generalizzare QUASI niente. Ma tante cose sono comuni. Una tra tutte il concetto della preoccupazione per il presente
Grazie per il tuo commento 🙂
Ciao Martino….ho trovato quest’articolo ESTREMAMENTE INTERESSANTE! Ho viaggiato in Kenya da completo profano ormai quattro anni fa e sono rimasto molto colpito dalla differenza degli approcci comunicativi. Mi sono fatto tutta una mia serie di “film” utili e costruttivi, ma ritengo che articoli (e blog) come il tuo, siano oggigiorno PANE ESSENZIALE per avvicinare mondi che comunicano appunto in modi molto diversi.
grazie quindi e ti terrò “a tiro”
Grazie Alfonso! Sono onorato 🙂
Premetto che non sono un esperto di afriche, ho solo avuto ed ho delle frequentazioni, alcune affettive.. Ma l’africa oggi è un fattore irreversibile di discontinuità nell’ambito dei rapporti con l’occidente e soprattutto all’interno stesso dell’identità occidentale. Il mio intervento porta con sé una domanda a cui cerco di dare una risposta. Partendo dalle differenze e aggiungendo loro una valutazione (che manca nell’articolo per dichiarata scelta) per quanto relativa, “limitandola” al rapporto con l’occidente”, non sarebbe il caso di offrire al dibattito l’apporto positivo dell’incontro sud-nord, al momento sovrastato dai luoghi comuni sui pericoli dello scontro? Voglio dire, va bene essere realistici sulle differenze, per molti inconciliabili. Ma è possibile che, nella migliore delle ipotesi, si possa pensare a una integrazione a senso unico di chi proviene da quella cultura? a una omologazione occidentale dell’intero continente? La mia povera esperienza dice di no, ho apprezzato e copiato alcuni valori dei miei amici. Ecco, quali sono , oltre alle risorse materiali che deprediamo, quelle cui potremmo attingere, fuori dell’ottica idi sfruttamento , nell’ambito della crescita culturale?
Grazie Felice per il prezioso commento! Senza dubbio l’unica prospettiva sensata è quella di una reciproca “contaminazione” (peraltro già in corso)
Quanta lucidità! Magari avessi letto questo articolo prima di spendere dieci anni in Africa, mi sarei evitato un sacco di incomprensioni e di problemi. Quello che ben descrivi io l’ho vissuto e l’ho imparato quiasi sempre a mie spese.
Mi sono arricchito moralmente e umanamente; mi sono brutalmente impoverito economicamente.
Nonostante l’avventura africana sia stata positiva nel conplesso, sarebbe stata più proficua se qualcuno, come te, mi avesse meglio indirizzato.
Personalmente penso che non tutto sia positivo di quella cultura “alternativa” e di quei modi diversi di vivere; le prove sono la povertà economico-finanziaria, relazionale e intellettuale che ancora domina le culture africane. Hanno molto cammino da fare.
Sul piano etnico, razziale, tribale, I massacri avvenuti negli anni della post colonizzazione sono “storia” orrrenda seppur ben paragonabile con quanto è avvenuto in altre parti del globo.
Ma l’Africa è l’Africa. Se la vuoi, la devi prendere così come è. Per ora.
Grazie Pietro! Dove hai vissuto? Certamente non tutto è “positivo” (come non tutto è “negativo”) in assoluto. Le variabili sono N-mila. Attenzione però a prendere la povertà come metro dell’inadeguatezza delle culture africane che è una spiegazione a mio parere molto semplicistica… Il continente è entrato in una sorta di regressione culturale 4-5 secoli fa e si sta lentamente riprendendo. Altri luoghi/culture con quegli sconvolgimenti sarebbero semplicemente collassati. Le società africane no e non lo faranno di certo in futuro. Su massacri/guerre credo che dall’alto delle 2 guerre mondiali scatenate tra cugini europei ci sia ben poco da giudicare. Un caro saluto
Ciao Martino, grazie per l’articolo, credo che non ne abbia mai trovato uno cosi’ semplice seppur quasi scientifico sull’argomento delle incomprensioni tra il mondo occidentale e quello diciamo africano.
Mi e’ stato assolutamente utile leggerlo per mettermi almeno un pochino in piu’ in pace con le nostre frustrazioni quotidiane nella nostra compagnia, in particolare nel saper fare le domande giuste e nelle inevitabili risposte positive che riceviamo a molte delle nostre richieste in azienda.
Una cosa che non riesco pero’ ancora a capire e’ il motivo per il quale gli africani cercano in tutti i modi di adattarsi e abbracciare il modello occidentale che e’ proprio quello che ha distrutto il continente Africano nel corso dei secoli passati, e in realta’ anche noi occidentali stessi che ci arrendiamo a questo modello socio-economico che ormai abbiamo capito che fa acqua da tutte le parti….
Ciao Roberto (vedo solo ora il tuo commento!), come stai? Eh eh, di certo è facile dire “il modello occidentale fa acqua” ma comunque far leva su alcune indubbie comodità che porta con sè… Ad ogni modo credo che non sia così vero che “abbraccino” il modello a 360° quanto che ne prendano alcuni pezzi che sembrano più affascinanti…