Emanuele Santi è stato a lungo economista in African Development Bank. Ci siamo conosciuti ad Abidjan (Costa d’Avorio), sede centrale della Banca, dove ha vissuto dopo alcuni anni a Tunisi.
Mi ha subito colpito per uno stile lontano dal clichè del funzionario dell’istituzione internazionale, spesso pigramente adagiato nella “bolla degli expat” più attento a report e convegni che alla realtà intorno a sè.
Una particolarità confermata dalla recente decisione di “mettersi in proprio” con Afrilanthropy, organizzazione che vuole trasformare il mondo dell’impact investing: capitali “pazienti” investiti in imprese sociali africane.
Prima di iniziare ti invito in VADOINAFRICA NETWORK, la community italofona per realizzare il tuo progetto personale nel continente!
Benvenuto Emanuele, ci racconti di cosa ti sei occupato nella tua carriera?
In diciassette anni nelle banche multilaterali mi sono occupato di un po’ di tutto, lavorando su progetti e strategie di sviluppo in Africa, America Latina e Europa Orientale.
Col tempo mi sono appassionato di startup e imprese africane, le cui creatività e potenziale sono spesso frenate dalla difficoltà a trovare capitali per la crescita e da un certo vuoto delle istituzioni.
Nel 2012, quando vivevo a Tunisi, ho ideato e gestito Souk Attanmia, (“mercato delle idee” in arabo), primo programma di sostegno alle startup locali nella storia della Banca.
Un’iniziativa concepita nella Tunisia post-rivoluzionaria che, radunando l’intero ecosistema locale, ha messo in moto una piccola rivoluzione all’interno di AfDB. Per la prima volta si operava in un segmento di mercato fino ad allora considerato troppo piccolo e difficile.
Spinto dalla medesima passione, ad Abidjan ho sviluppato un progetto ancora più ambizioso: Boost Africa, veicolo finanziario da 150 milioni di euro che investe nel capitale di fondi africani disposti a rischiare su startup locali.
Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio e sede di AfDB
Come hai maturato l’idea di lanciare Afrilanthropy?
Mentre sviluppavo Boost Africa mi sono reso conto della grande distanza tra i capitali internazionali e i talenti imprenditoriali africani, che non mancano.
Afrilanthropy vuole facilitare questo incontro. Da una parte filantropi e investitori alla ricerca di impatto sociale insieme a rendimenti finanziari, dall’altra imprese africane che hanno già sviluppato soluzioni innovative a problemi locali.
Questo processo è solitamente assai costoso perchè spreca enormi risorse in missioni, ricerche e analisi di mercato: in realtà ciò che occorre è la rete giusta sull’ultimo miglio, indispensabile per identificare imprese solide.
Con una rete di collaboratori, distribuiti in 12 diversi Paesi, e una serie di partner strategici, siamo in grado di facilitare questo match making: identificando, preparando e seguendo le imprese locali più promettenti.
Affianchiamo lo scale-up di aziende già post-revenue (devono fatturare, non facciamo incubazione/formazione) con un impatto sociale misurabile: per esempio CardioPad, azienda camerunese che produce tablet in grado di effettuare visite cardiologiche da remoto e ARED in Rwanda, che ha sviluppato un chiosco fotovoltaico in franchising in grado di ricaricare cellulari e fornire connettività.
Chi sono i clienti di Afrilanthropy?
Puntiamo coinvolgere investitori e filantropi europei (fondazioni, imprese o individui) stanchi di sostenere progetti isolati e privi di sostenibilità economica.
La nostra ambizione non è quella di creare un fondo (ce ne sono tanti e molti hanno paradossalmente difficoltà a trovare come… impegnare i soldi!), quanto offrire un match-making rapido e efficace, riducendo i costi di transazione per massimizzare l’impatto sociale.
Assicuriamo il monitoraggio e lo sviluppo di relazioni in grado di accelerare la crescita delle imprese investite, il tutto a costi al di sotto del mercato.
Perché investire con “capitale paziente” può fare davvero la differenza?
L’investimento classico è tipicamente avverso al rischio connaturato a imprese giovani e in contesti di frontiera. Per mitigarlo si ricorre a ticket molto grandi e/o tassi d’interesse elevati, rendendo i flussi di capitale proibitivi per le imprese africane.
Numerosi enti filantropici approcciano così le imprese sociali con lo strumento del grant (donazione) che crea spesso incentivi perversi oltre che un’allocazione sub-ottimale delle risorse.
L’investimento “paziente” è spesso il migliore strumento perché offre condizioni interessanti per l’imprenditore, incentivandolo ad utilizzare i capitali in maniera efficace.
Come candidare la propria impresa alla valutazione per ricevere un investimento?
Contattandoci attraverso il nostro sito internet!
Invito a iscriversi alla nostra newsletter per restare aggiornati su eventi e opportunità che possono interessare le imprese africane.
Un consiglio per chi desidera lavorare nelle istituzioni internazionali?
Di “sporcarsi le mani” subito: viaggiando, facendo esperienze di volontariato e internship, imparando alla perfezione inglese e una seconda lingua tra francese, spagnolo, arabo o portoghese (a seconda delle aree geografiche di interesse).
Consiglio di studiare sodo, senza disdegnare i corsi online come Coursera, che offre corsi gratuiti di enti prestigiosi in grado di differenziare il proprio CV. Infine scrivere e pubblicare (non in italiano).
E a chi desidera invece intraprendere un’attività imprenditoriale in Africa?
Doppia attenzione al contesto locale e a mostrare con i gesti quotidiani di essere davvero interessati al benessere degli africani. Per cinque secoli il continente è stato depredato delle proprie risorse e purtroppo questo avviene ancora oggi.
Mostrare che ci si crede davvero è anche la miglior strategia per differenziarsi dalla concorrenza. Allearsi a un’impresa africana significa non solo manifestare un generico interesse ai bisogni della società ma, molto pragmaticamente, imparare da chi è da anni sul terreno evitando difficoltà e problemi.
Qualche consiglio di lettura per comprendere il continente africano?
Il mio autore preferito resta Ryszard Kapuściński e i suoi intramontabili Ebano e La prima guerra del football e altre guerre dei poveri.
Sul Nordafrica mi permetto di farmi pubblicità consigliando Non ho più paura: Tunisia diario di una rivoluzione (di cui sono uno dei co-autori anche se non ho potuto firmarlo) dove si racconta, in presa diretta, l’incredibile progressione di eventi del 2011.
Last but not least, sei nella rosa dei candidati a dirigere AICS. Che visione hai per la cooperazione italiana di domani?
Si, mi sono candidato per la direzione dell’Agenzia perché sono convinto di poter portare la prospettiva unica di chi non solo conosce dall’interno le banche multilaterali, vero motore dello sviluppo con i loro pregi e difetti, ma che si è “sporcato le mani” sviluppando la propria impresa sociale.
Sogno una cooperazione che non si limiti a rispondere con le sue (ahimè) limitate risorse alle emergenze umanitarie ma che abbia il coraggio di smuovere altri capitali per finanziare progetti ad alto impatto occupazionale e ambientale a fianco della nuova generazione di imprenditori africani.
Il settore privato può essere un motore di sviluppo inclusivo se mette l’impatto sociale e ambientale al centro delle proprie decisioni. Non permetterei che i soldi del contribuente finiscano ad arricchire società o enti per fare “business as usual” concentrandomi piuttosto nell’incoraggiare investimenti produttivi che migliorino tangibilmente le condizioni di vita delle popolazioni.
Promuoverei infine l’incontro tra il mondo associativo e quello del settore privato, superando opposizioni spesso ideologiche o che semplicemente derivano da una visione antiquata della cooperazione. Se vogliamo dare una vera svolta abbiamo bisogno dell’apporto di tutti senza ideologie o campanilismi.
Per prendere parte al cambiamento, unisciti alla nostra community di imprenditori e professionisti su VadoinAfrica Network. Non te ne pentirai!