Migliaia di giovani africani sui barconi hanno alimentato l’errata convinzione che tutta l’Africa sia accomunata da un unico grande sogno:
emigrare in Europa.
Secondo le più recenti stime ONU, a fronte di 1,2 miliardi di abitanti, gli “espatriati” africani sono 36 milioni: 19 nel continente e 17 al di fuori.
Dunque anche per l’Africa vale la regola globale secondo cui:
il 97% delle persone vive nel Paese in cui è nato.
La grande migrazione, trionfo delle retoriche
Negli ultimi dieci anni sono sbarcate in Italia circa 780.000 persone. Partite per i motivi più svariati, spesso inconsapevoli delle difficoltà di un viaggio di cui i barconi sono solo la punta finale dell’iceberg e, soprattutto, degli ostacoli che avrebbero incontrato ad inserirsi nei tessuti socio-economici di destinazione.
Il fenomeno è stato affrontato da molte narrazioni, in competizione tra loro, accomunate dalla pretesa di spiegare a colpi di slogan una realtà variegata:
- “hanno pianificato la sostituzione etnica degli europei”
- “scappano tutti perchè l’Occidente fomenta le guerre e ruba le risorse“
- “questa è la nuova tratta degli schiavi che fa gli interessi dei padroni del mondo”
Il rumore è diventato così assordante da cancellare tutto il resto. Producendo mostri.
In Italia, a maggior ragione, è emerso in tutta la sua gravità il non aver mai seriamente affrontato il nodo della decolonizzazione dell’immaginario pubblico: l’esperienza coloniale è stata infatti considerata “risolta” con la caduta del fascismo.
Così non è.
L’immaginario coloniale sull’Africa, rimasto latente nella crassa ignoranza dei mass-media, è emerso in tutta la sua forza simbolica nella società italiana.
Aggiungendo copiose dosi di ipocrisia intra-europea, l’Africa è diventato il campo preferito per sfogare vuote retoriche e irrisolte pulsioni psichiche collettive abbandonando ogni realismo e oggettività.
Un regno onirico capace di accomunare, senza nessun senso, nobili sentimenti e violenza simbolica. Appelli all’aiuto e chiamate alle armi.
Se ne parla con enorme pathos ma, tranne rare eccezioni, ci si mette sempre e comunque al centro del mondo. Roma, Milano, Potenza, Castelfranco Veneto caput mundi.
Senza accorgersi che stiamo diventando una stanca periferia ridotta ad osservare una nuova realtà senza la capacità (culturale prima ancora che economica) di agire in maniera diversa dal passato.
“Aiutiamoli-a-casa-loro”: bugia dalle gambe corte
Ridurre i flussi migratori aumentando i fondi destinati alla “cooperazione allo sviluppo” è la generica proposta bipartisan che, di fatto, domina il discorso sull’Africa.
Tralasciando il fatto che queste risorse vengano già da tempo stanziate per questo motivo e poi utilizzate per rafforzare i confini e immaginando per un momento che tutti gli aiuti “funzionino” il punto su cui si glissa resta un altro: al crescere del reddito aumentano la possibilità di scelta.
Tra cui, eventualmente, quella di partire.
Lo evidenzia Ellen Johnson Sirleaf, ex presidente liberiana oggi a capo del gruppo ONU sulle migrazioni:
Marocco, Algeria, Tunisia, Sudafrica, Ghana e Senegal hanno il più alto tasso di sviluppo umano e i più alti tassi di emigrazione al di fuori del continente.
Anche l’economista Michael Clemens avverte:
i Paesi con un reddito pro capite fra i 5 e i 10.000 dollari l’anno hanno tassi di emigrazione tre volte superiori a quelli che stanno sotto i 2.000 dollari
Peggio ancora, il prevalere di un dibattito sugli aiuti non fa che rafforzare l’idea (vecchia quel paio di secoli) dell’Africa come terra-da-salvare, del continente di mendicanti che sopravvivono, in preda ad ataviche culture tribali, grazie alla generosa beneficienza dell’Occidente.
La realtà è multiforme e contradditoria ma procede esattamente in senso opposto.
Il continente, e non da oggi, è in pieno movimento nel produrre gli elementi materiali e simbolici per la sua sopravvivenza e proiezione futura.
La Cina, che approccia l’Africa forse con meno ipocrisia dell’Occidente, ha mosso parecchio le acque.
Le due grandi potenze ex coloniali (Francia e Regno Unito), se ancora assai influenti non sono più onnipotenti. E il tasso di povertà africano continua a scendere: oggi è circa al 40%.
Gli emigranti del “Sud del mondo” ormai mandano “a casa” 35 miliardi di dollari all’anno: ovvero tre volte più degli aiuti internazionali!
Peraltro, sono sempre più gli africani che scelgono di rientrare in patria dopo aver studiato o lavorato all’estero. Insieme a loro ci sono sempre più “emigranti” di ogni nazionalità, tra cui anche svariate migliaia di giovani italiani ed europei.
Scelgono l’Africa fuori dai tradizionali assetti del ‘900 (umanitario, diplomatico, multinazionali) per opportunità e passione: piccoli imprenditori, tecnici, creativi, ricercatori. Tante le coppie “miste”, i figli di queste unioni naturalmente a cavallo dei continenti, gli “afrodiscendenti” nati in Occidente da genitori africani.
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La geografia e la demografia non sono opinioni
La posizione geografica dell’Italia, soprattutto se si ha il coraggio di ruotare la mappa, parla da sola:
Non occorre un dottorato in statistica applicata per comprendere la demografia dei due continenti:
Tutto questo spaventa solo chi ritiene che gli africani siano bambolotti passivi e/o buontemponi che amano ballare e farsi mantenere.
Sicuramente la gestione del fenomeno dei flussi dalla Libia, così come sono stati (non) gestiti finora ha poco senso.
Ma dodici anni di assidue frequentazioni del continente mi fanno scommettere che l’Africa giocherà un ruolo attivo nella Quarta Rivoluzione industriale. Facendo leva sull’immenso dividendo demografico diventerà un luogo centrale dell’innovazione tecnologica (è già avvenuto con il mobile money) e della produzione creativa globale.
Insomma, piaccia o meno, con questi africani bisognerà averci a che fare sempre più. Forse sarebbe il caso di conoscersi sul serio e capire cosa si può fare insieme. A beneficio di entrambi.
Avviando un vero dialogo, come sostiene il Nobel nigeriano Wole Soyinka:
Finora abbiamo avuto piuttosto un monologo, dove a parlare era soltanto l’Europa. Purtroppo non c’è mai stato uno scambio o un riconoscimento reciproco che prendesse atto delle condizioni economiche profondamente cambiate negli ultimi tempi, bensì un confronto mono-direzionale. Ovviamente anche i leader africani hanno le loro responsabilità. È un peccato, perché un dialogo tra pari favorirebbe non poco lo sviluppo delle relazioni umane.
Confesso di non avere grandi illusioni in merito. Ritengo però che sia necessario provarci con la massima serietà e responsabilità. In primo luogo per l’Italia.
Poi, se non sarà stato possibile, sarà giunto il momento di emigrare. Verso Sud.
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Credits: ritratto in alto di Karabo Moletsane per Quartz
Ottimo e giusto articolo.
Se si avesse la capacitá di leggere le statisitiche e tirarne le conclusioni Italia, Europa e Mondo andrebbero meglio. Peró noi che sappiamo leggere le statistiche, capire il mondo e parlare come dice Wole Soyinka poi non combiniamo molto e creiamo sfiducia. Ovvero di fronte a problemi ben complicati di cui non si vede la soluzione, alziamo un profluvio di parole e arriviamo al Aiutatiamoli a Casa Loro. Ricordiamo che questa genialata peró l’ha inventata Salvini (se non sbaglio) e Renzi gliel’ha copiata pari, pari. Concordo che chi li ha aiutati a casa loro senza tante storie (ma anche con molta distruzione di ricorsi naturali) sono stati i cinesi e gli indiani. Non solo con gli investimenti diretti e gli aiuti, piú o meno “puzzolenti”, ma soprattutto con la creazione di un mercato per materie (purtroppo solo prime) nei loro paesi. In Mozambico lo si vede molto bene. Nel 1974 scrissi un articoletto per la rivista dell’IPALMO (Politica Internazionale, quella di Calchi Novati). Solo utilizzando fonti secondarie, appariva chiaro che il Mozambico aveva tutto e di piú, da enormi quantitá di acqua a minerali di tutte le qualitá, ma teoricamente era uno dei paesi piú poveri del mondo. Non c’era il mercato, vecchia regola economica, e le sue risorse non interessavano che a pochi ed in parte. Oggi é differente, e non solo potenzialmente, ma non grazie all’Aiutiamoli a Casa Loro delle cooperazioni mondiali, ma perché ci sono i mercati cinese e indiano “quí vicino” e tali paesi hanno interesse ad investire per “accalappiare” quel che serve loro. A volte é furto ma spesso vi sono importanti effeti colletarali ed investimenti veri, non aiuto allo sviluppo. Il carbone estratto dalla Vale brasiliana e venduto ai paesi asiatici ha unito vecchie ferrovie quasi in disuso, non collegate, e creato una linea di oltre 1000 km che sta rivitalizzando il traffico ferroviario, passeggeri e merci, nel nord prima morto, ed un porto altrettanto in disuso (Nacala). Non tutto é magnifico ma assicuro che un buon numero di cinesi e di indiani, sono ben piú preparati, sofisticati e capaci che solo interessai a venire a rubare risorse in Africa (che continua comunque a rappresentare una fetta grande della loro presenza).
Ma quí sorge il grande problema. In Mozambico all’indipendenza vi erano solo poveri, analfabeti e qualche fortunato rispetto agli altri. Oggi, 40 anni dopo, in dollari USA, vi sono piú di mille milionari e due bilionari (non ricordo la fonte, forse la rivista Forbes) e la marea di poveri continua. C’é una piccola classe media urbana ed un bisogno di 500 000 nuovi lavori annuali contro un’offerta di 250 000. E NON É SOLO, O PRINCIPALMENTE, IL CONTROLLO DIRETTO DELLE NASCITE CHE RISOLVE QUESTO!
Le tendenze nel resto dell’Africa sembrano simili, ma con alcuni paesi modello dove sviluppo e buona organizzazione vanno su e la corruzione va giú. Ma in maggioranza siamo ancora alla logica delle elite locali, che é: mi arricchisco io e “aprés moi le deluge”. Non dimentichiamo che sono queste elite che controllano le risorse che permettono la fuga di tutto il possibile, guadagnandoci sopra.
Come se ne esce e si supera questo stadio di sottosviluppo del potenziale esistente, di sottosviluppo in assoluto e di forbice nei redditi?
Il miglioramento economico, come visto, puó addirittura aumentare i flussi emigratori, permettendo di sognare nuovi mondi, spesso perché i loro mondi, pur in sviluppo relativo, sono feroci, ingiusti e violenti, e questo diviene piú evidente con la crescita economica e la forbice nei redditi.
Poi ci sono altre veritá. Ad esempio, le rimesse degli immigrati, che sono piú utili dei regali dei paesi sviluppati e negli anni 50-60 erano quelle che pareggiavano i conti italiani. Ma tutti da noi se lo sono dimenticati, perché “che diavoletto volete, noi abbiamo sofferto tutto e la fame e lavorato come cani, anzi come negri, mó tocca a voi, che siete magari negri sul serio”.
Per finire; poiché giustamente la fase africana è più dinamica del percepito (che é il solo che importa al momento e non le statistiche, purtroppo) il famoso nuovo “PIANO MARCHALL” (che rivitalizzó l’Europa) potrebbe aiutare ma non passando dalle mani delle “Elite Casa/Cosa Nostra” ed allora da dove?
Io sogno che gli immigrati bloccati vengano messi in grandi campi scuola professionale, basica ed universitá (chissá dove) e rimandati a casa meglio preparati di quanto riescono a fare molti dei sistemi scolastici nazionali africani, che spesso non sono riformabili nel contesto attuale. Magari con un pó di capitale per fare investimenti con l’appreso. Sogno, sogno… Ci vorrebbero vari paesi disponibili, in Africa e fuori (chissá dove), vari finanziatori alla Bill Gates o Soros o ricconi asiatici, paesi finanziatori e la UE o l’ONU in carica della gestione, non campi di concentramento.
Sogno, sogno…
Grazie per il ricco commento Bruno! Non credo sia realistico pensare che i campi in Libia o Sahel possano diventare scuole professionali. Anzi, lo vedo come un’assurdità (tipo il “piano Mogol” che qualche mese fa proponeva di creare aziende agricole in Nordafrica…)
Le opportunità stanno già nascendo a Sud del Sahara e saranno gli africani stessi a creare un settore privato come si deve, in grado di assorbire il lavoro dei giovani. Lo stanno già facendo, anche tramite iniziative filantropiche africane. Come ad esempio TEEP lanciato dal banchiere nigeriano Tony Elumelu (100 milioni di dollari in 10 anni): tonyelumelufoundation.org
UE/Occidente continueranno a spendere sempre più soldi per pattugliare/militarizzare i confini e ovviamente in aiuti in larga misura improduttivi (che peraltro rinforzano l’idea del bianco onnipotente che generosamente spende per il continente…)
sono pienamente d’accordo; nel mio piccolo stiamo cercando di attivare una produzione di mattoni in cemento in burkina faso per la realizazzione di Cren e scuole; abbiamo già comprato la prima blocchiera e la stiamo inviando per poi organizzare i primi corsi di formazione in sito e avviare i cantieri. CAmminare con loro in mutuo appoggio…
bene! ho visto che hai postato anche nel gruppo FB. Troverai contatti e suggerimenti utili 🙂