L’Africa è il futuro del design. E chi non se ne accorge si preclude immense possibilità di crescita.
Lo sostiene il franco-marocchino Hicham Lahlou, uno dei più affermati designer del continente, fondatore di Africa Design Days e Africa Design Award.
L’ho intervistato a margine del Salone del Mobile 2019 di cui era ospite d’onore (anche se nessun mass-media italiano ne ha ancora parlato…).
A Milano Lahlou ha esposto African Sounds, realizzato con il produttore veronese di marmo CITCO: l’Africa diventa un grappolo di nacchere come omaggio alla musica Gnawa e alla creatività del continente.

Precursore del design industriale in Marocco, Lahlou è nato nel 1973 a Rabat e ha studiato all’Académie Charpentier a Parigi. Ha firmato progetti e collezioni per prestigiosi marchi internazionali (DAUM, Ecart International, Lip, Aquamass tra gli altri) esponendo in musei di tutto il mondo.
Nel 2016 è stato nominato Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese e nel 2017 è stato eletto Membro del Consiglio di Amministrazione del WDO (World Design Organization).
Cosa intendi quando affermi che l’Africa è il futuro del design?
L’eurocentrismo è una grande noia. I brand lavorano tutti con gli stessi designer. Ma se un’azienda vuole crescere e guardare in faccia il Ventunesimo secolo, deve aprirsi a contributi da altre zone del mondo.
Oggi è il momento dell’Africa. Ci sono bisogni enormi, ma anche enormi opportunità in ogni campo. E una creatività davvero esplosiva.


Come re-immaginare le relazioni afro-europee?
Vedo una grande ignoranza sul continente africano nel resto del mondo.
La gente pensa sia un Paese (sono 54, incluso il Marocco e tutto il Nord Africa!), che siamo dei mendicanti globali (quando invece forniamo risorse al mondo intero), che non esistano grandi città e infrastrutture moderne e molti altri stereotipi.
Credo che il punto chiave sia il coinvolgimento di intellettuali e professionisti africani (e di altri continenti) come ospiti nelle principali università e mass-media.
Non si conosce la storia pre-coloniale, tradendo così il fondamentale contributo africano alla civiltà umana. Un passo alla volta è necessario che il mondo lo comprenda, precondizione per poter dialogare con rispetto reciproco.


Che ruolo potrebbe giocare l’Italia che è una sorta di ponte, geografico e culturale, sul Mediterraneo?
In campo culturale siete unici al mondo. Nessuno sarebbe in grado di creare qualcosa come il Salone del Mobile!
Avete una enorme ricchezza culturale, che potrebbe produrre risultati straordinari nel dialogo con le altre culture.
Ma incontrando le imprese italiane, noto con stupore uno sguardo terribilmente eurocentrico e “vecchio” sull’Africa.
Il consiglio che do a imprenditori e A.D. è di farsi una settimana di vacanza a Dakar, Abidjan, Kigali o Nairobi. Passare qualche giorno di relax nell’Africa urbana sarà possibile fare esperienza a 360° di cultura, economia e società.
Rendendosi conto che l’Africa non è solo il futuro, è già il presente.
Eppure sento tutti dire “Shangai, Shangai, Shangai!”. Ma in Cina bisognava andarci 20 anni fa, oggi è del tutto mainstream!
Difatti i cinesi, a cui non manca la capacità di vedere lontano, stanno da decenni costruendo l’Africa di domani.
Vuoi interagire costruttivamente con il continente africano? Entra ora nel gruppo Facebook VADOINAFRICA NETWORK! C’è anche Hicham Lahlou 🙂


Quali sono le modalità di collaborazione che vorresti incentivare?
Innanzitutto mi piacerebbe vedere sempre più imprese italiane (europee) coinvolgere designer non europei.
Quello che abbiamo realizzato quest’anno con CITCO o quanto che sta portando avanti IKEA sono solo esempi che potrebbero essere replicati in tante diverse modalità. Tutte potenzialmente differenzianti per le imprese che avranno la lungimiranza di dare più fiducia a designer africani, asiatici o latinoamericani.
Abbiamo sempre bisogno di qualcosa di nuovo: Bauhaus, Scandinavia, Memphis e oggi… l’Africa
Gli imprenditori italiani mi dicono “fare business in Marocco è difficile!” Ma quando vai a indagare scopri che vogliono solo vendere un container e scappare.
Ma non funziona così. Per operare con successo in qualsiasi altro Paese africano oggi devi avere rispetto e visione a lungo termine. Aprire una società locale, investire nel know-how delle maestranze locali, costruire la fiducia dimostrando di avere a cuore quel territorio.
Mi piacerebbe infine trovare musei e gallerie italiane interessate a valorizzare la ricca produzione Made in Africa di artisti, creativi e artigiani.


Quale ruolo per la diaspora marocchina (e in generale africana) in Italia?
In questi anni ho conosciuto tanti italo-marocchini, intuendo il loro orgoglio e motivazione nel vedere un connazionale intervistato da Repubblica (in occasione del Salone 2018).
Allo stesso tempo la gente comune non capisce che il design non è solo “abbellire” o “decorare” un oggetto. Si tratta di un vero e proprio ecosistema, di un linguaggio e di un’economia.
Credo comunque che se noi creativi e intellettuali “stranieri” fossimo più presenti nelle università e nei media, tanti giovani europei con radici extra-europee sarebbero più motivati nel valorizzare questo aspetto della loro identità.
A tutto vantaggio dell’Europa.
Perchè avere più identità è la chiave del successo nel mondo globale. Proprio come noi marocchini che siamo, allo stesso tempo, arabi, berberi, ebrei e africani.


Ci vediamo in VADOINAFRICA NETWORK?

