Gestire personale in Africa

Gestire il personale “in Africa”: sfide e soluzioni

Uno degli aspetti fondamentali per la riuscita di qualsiasi azienda è la creazione di una squadra coesa. Che sappia lavorare ad un obiettivo comune gestendo le inevitabili tensioni e incomprensioni.

Un’attività complessa ovunque al mondo.

Che può diventare particolarmente delicata nel continente africano a causa delle grandi differenze culturali e sociali.

Le insidie nascoste sono innumerevoli. E, un po’ ovunque, non mancano pessime esperienze tra datori di lavoro “europei” e collaboratori “africani”, a prescindere dal livello professionale e dal ruolo gerarchico ricoperto.

La mia personale esperienza riguarda la Costa d’Avorio, ma ho scoperto che ci sono tanti aspetti comuni ad altri contesti.

Vorrei provare a fare chiarezza fornendo innanzitutto alcuni suggerimenti utili sulle tre fasi principali sulla creazione di una squadra di collaboratori locali: selezione, assunzione e gestione.

Prima di iniziare, una premessa.

Per operare con efficacia in un contesto culturale diverso da quello dove si è cresciuti, occorre la consapevolezza che piccoli gesti o parole possono influire enormemente sulla percezione che gli altri avranno di te.

Sembra un’ovvietà, ma non lo è soprattutto quando si parla di Occidentali “all’estero”.

Sospendere i pregiudizi che ci portiamo dietro, spesso senza accorgersene, nei confronti degli altri, ponendoci in una posizione di ascolto e apprendimento.

La presunzione di modificare comportamenti che sono il risultato di un ambiente culturale e sociale diverso è il modo migliore per crearsi inutili difficoltà. Già solo per capire dove sei, occorre uno sforzo non indifferente. Spesso anni di attenta osservazione.

Lasciare da parte l’idea che siano gli altri a doversi adeguare alle nostre aspettative è l’unico modo per riuscire ad interpretare situazioni complesse e trovare strategie efficaci agli inevitabili problemi.

Detto questo, iniziamo.

Gestire personale in Africa

A. Selezione del personale 

Una volta definito il ruolo da ricoprire, il primo scoglio da superare è riuscire a reperire personale qualificato. Una sfida di non banale risoluzione in buona parte del continente africano.

Le strade disponibili sono tre:

  1. far girare la voce
  2. pubblicare un annuncio
  3. affidarsi a intermediari

Vediamole una alla volta.

1. Far girare la voce 

Di norma, il primo modo di chi cerca un collaboratore è di chiedere a conoscenti diretti di segnalare l’offerta di lavoro ai propri contatti.

Bene, ma non troppo.

Qui in Costa d’Avorio, per esempio, ma anche in qualsiasi altro contesto africano dove le famiglie sono l’unico sistema di Welfare, è molto diffusa l’abitudine di raccomandare amici e familiari senza alcuna competenza.

Più opportuno dunque fare questo passo solo con persone di assoluta fiducia che abbiano dimostrato, nei fatti, la propria affidabilità. Solo queste saranno portate a mettervi in contatto con candidati validi così da non rischiare di intaccare la loro reputazione nei vostri confronti.

Da evitare sempre promesse a lungo termine per darsi invece il tempo di valutare sul campo la persona prima di inserirla stabilmente in organico.

2. Pubblicare annunci sui media

In bocca al lupo!

Scegliere di pubblicare una vacancy sulla stampa o sui vari siti web specializzati significa doversi preparare a un bombardamento di chiamate e email, la stragrande parte non in linea con il profilo ricercato.

I livelli di disoccupazione nelle città africane sono talmente alti che ci sono migliaia di giovani che si candidano a tappeto ad ogni offerta disponibile senza neanche leggere l’annuncio.

Una soluzione da evitare per chi non dispone di un dipartimento risorse umane in grado di affrontare un’importante mole di lavoro che, altrimenti, può rappresentare un’enorme perdita di tempo.

3. Affidarsi ad intermediari

Esistono, infine, numerose agenzie interinali e liberi professionisti specializzati nella ricerca del personale.

In questo caso è imprescindibile assicurarsi dell’affidabilità dell’intermediario, chiedendo (e verificando) referenze. Opportuno scegliere agenzie o professionisti accreditati che possano garantire procedure di selezione oneste e trasparenti.

Succede spesso che questi attori raccolgano mazzette da chi cerca lavoro e dunque che la rosa dei CV consegnati sulla scrivania di chi sta cercando un collaboratore sia più in funzione sulla contribuzione economica ricevuta dagli aspiranti candidati che sulle loro reali competenze.

Si finisce così per ritrovarsi di fronte candidature sub-ottimali.

Quando gli intermediari giocano un ruolo nella distribuzione degli stipendi, non sono rari i casi in cui una parte dell’importo dovuto viene prelevato ad insaputa del datore di lavoro. La retribuzione va a ridursi, con evidenti conseguenze in termini di motivazione e performance.

B. Assunzione 

Trovata finalmente la persona giusta arriva il momento di firmare il contratto.

Già, perchè in nessun Paese africano è opportuno avere collaboratori irregolari. Anche se i tuoi concorrenti locali lo fanno!

Se il compenso offerto è “in linea con il mercato” bisogna essere consapevoli che, generalmente, sarà ben lontano dal costo della vita urbana e dunque sottopagato.

Le persone accettano in assenza di alternative.

Il mio suggerimento è, quantomeno, di evitare l’enfasi, tanto inutile quanto frequente, sull’impatto positivo che questo lavoro avrà sulle vite dei neo-assunti. Spesso saranno solo condizioni di pura sussistenza.

A mio parere questo è un punto fondamentale per evitare di incappare nel “gioco di ruoli” irrealistico alla base di molte dinamiche malsane di cui parlerò in seguito.

Da un lato il datore di lavoro che si autocelebra come benefattore, dall’altra collaboratori che covano risentimento senza manifestarlo.

Non sto suggerendo, ovviamente, di sostenere costi per il personale sproporzionati rispetto alla concorrenza. Ma di provare mettersi nei panni dell’altro con un minimo di oggettività. In particolare prima di pretendere dedizione incondizionata alla causa.

C. Gestione del personale

Questo è l’aspetto forse più complesso e trascurato.

È facile sottovalutare gli aspetti culturali e le inevitabili difficoltà d’interazione con chi ha esperienze di vita completamente diverse dalle nostre e che vive ogni giorno in contesti assai differenti.

La comunicazione

Mi è capitato spesso di assistere a conversazioni tra un responsabile italiano, con una padronanza medio-bassa della lingua francese, e un collaboratore ivoriano con basso livello d’istruzione, dunque che si esprime in nouchi (gergo popolare) o in lingua etnica.

Risultato: un mix esplosivo per continui fraintendimenti comunicativi!

Il responsabile è sicuro di essersi spiegato correttamente e l’operaio è convinto di aver capito tutto alla perfezione. Purtroppo, a lavoro ultimato si scopre che nulla è stato fatto come previsto!

Il primo s’infuria e talvolta insulta il secondo. Quest’ultimo, facendosi umiliare senza reagire sul momento, cova la sua piccola vendetta morale per la prossima occasione.

Tuttavia, anche quando il problema non è linguistico, possono verificarsi malintesi per la diversa percezione dei fatti o per elementi impliciti che non vengono colti creando uno stridente gap comunicativo.

Per fare un esempio, qui in Costa d’Avorio è praticamente impossibile che qualcuno risponda di “no” a una domanda a cui ci si attende una replica affermativa.

Da queste parti si dice:

C’est le NON qui envoie palabre!

Porre domande del tipo: “Lo sai fare?”, “Hai capito?”, “È tutto chiaro?”, “Sei sicuro di farcela in tempo?” significa ricevere sempre e comunque una sola risposta:

Oui, Madame/Monseiur!

Anche quando la realtà è molto diversa.

Come evitare di farsi male?

Qualche consiglio per chi capisce l’importanza strategica, per la propria azienda, di creare una squadra di collaboratori locali coesa ed efficace.

Assumere personale bi-culturale

Innanzitutto raccomando di non sottovalutare l’importanza di assumere personale davvero bilingue e bi-culturale, in grado non solo di farsi capire e di comprendere correttamente, ma di cogliere le sfumature espressive, i toni, i non detti o le espressioni onomatopeiche.

Un ivoriano ad esempio può fare un discorso intero rispondendo con suoni, senza bisogno di utilizzare parole!

Se cerchi personale “espatriato” per ruoli dirigenziali, consiglio di tenere in considerazione le figure della diaspora o di seconda generazione con competenze professionali e culturali.

Dovrebbe essere ovvio, ma non lo è, che retribuzioni e trattamento non devono dipendere dal nome e il colore della pelle ma dal valore aggiunto che il collaboratore è in grado di portare in azienda.

Essere precisi e mettersi in discussione

Con il personale locale, raccomando di essere sempre molto precisi e dettagliati nelle comunicazioni. Non dare nulla per scontato può evitare grossi guai. Allo stesso tempo, attenzione a non porsi come se si stesse parlando con un cretino.

Chi vi sta di fronte, di solito, non lo è e potrebbe sentirsi offeso da una tale insinuazione.

Troppe volte si giunge alla conclusione che la colpa dell’incomprensione provenga dall’incapacità dell’altro, che non è in grado o non vuole (intenzionalmente) comprendere ciò che gli viene detto, dimenticandosi però che il successo di un processo comunicativo dipende dall’attitudine e dagli sforzi fatti da entrambe le parti.

L’importanza del rispetto

A queste latitudini sono frequenti i casi di collaboratori o fornitori che spariscono, da un giorno all’altro. O che si trasformano, di punto in bianco, da persone disponibili e affidabili a sfuggenti e scostanti.

Ai datori di lavoro questi cambiamenti sembrano repentini e incomprensibili.

Sento spesso dire:

Dopo tutto quello che ho fatto per lui/lei!

Dimenticandosi che sarebbe il minimo obbligatorio per legge in qualunque Paese Europeo.

Parlando con i collaboratori si intuisce che il cambio di atteggiamento è dovuto ai continui atteggiamenti percepiti come lesivi della propria dignità sul posto di lavoro.

Si tratta di un processo che spesso ha inizio già prima dell’assunzione. Con quell’atteggiamento di superiorità e paternalismo di cui parlavamo prima.

Di chi, in fondo, pensa:

Sono buono perchè ti do un lavoro.

Spesso i collaboratori non reagiscono a provocazioni e offese fino al momento in cui scoppiano. A quel punto non cercano un confronto diretto ma scelgono di cambiare aria o semplicemente di tirare i remi in barca e restare finchè durerà, con dedizione pari a zero.

Il diritto del lavoro, in Costa d’Avorio ma anche in buona parte del continente africano, è poco più che una serie di buone intenzioni. Non ci sono sistemi di controllo e si assiste ad ogni genere di abuso e ingiuria, ritenuto accettabile perchè “tanto siamo in Africa”.

La soluzione passa dal piano del rispetto reciproco.

Qualsiasi persona, a prescindere dal ruolo sociale e professionale che ricopre, merita di essere trattata con il dovuto riguardo. A maggior ragione in un contesto come quello africano dove anche la persona che si dedica ad un’occupazione umile alle vostre dipendenze può essere un punto di riferimento o una personalità di rilievo altrove, all’interno della sua comunità, della sua famiglia, del suo luogo di culto o del suo entourage in generale.

Di conseguenza, umiliazioni o frustrazioni subite potrebbero generare reazioni inaspettate e creare risentimenti inespressi che non di rado sfociano nel vero e proprio sabotaggio.

Mettere da parte la presunzione di essere sempre più preparati o capaci dei locali, perché le competenze acquisite e le esperienze vissute altrove non sono mai garanzia di riuscita nel contesto africano.

È importante rendersi conto che spesso dovremmo ascoltare i consigli di chi ha l’abitudine di confrontarsi con ostacoli pratici, blocchi amministrativi, ritardi a catena e imprevisti costanti tipici di questi contesti. E accettare il fatto che, talvolta, potremmo avere anche noi da imparare e migliorare, senza intestardirci sul fatto che le cose e le persone debbano per forza corrispondere alle nostre aspettative.

Anche se siamo “il capo”.

Considerare chi lavora per noi oltre visioni falsate da vecchi stereotipi.

Sono infinite le volte in cui ho sentito dire che “questi” o “loro” (e già l’uso di tali espressioni mostra un’impostazione basata sulla dicotomia “NOI” vs. “LORO” che è il primo passo per prendersi porte in faccia in qualsiasi Paese africano) non sono competenti/seri/puntuali/responsabili e non capiscono nulla…

Oppure sono pigri/disonesti/limitati/superficiali e dobbiamo insegnar loro tutto.

Ecco, evitiamo le generalizzazioni e cerchiamo di andare oltre ai pregiudizi e alla contrapposizione “noi-loro” che spesso nasconde (malamente) uno stantio retrogusto di razzismo.

Essere consapevoli del proprio status

A prescindere da quanto il tuo stile di vita sia “semplice e modesto”, sarà (quasi) sempre superiore al tenore di vita che potrà mai raggiungere un tuo collaboratore.

Vivere e lavorare in un Paese africano significa essere sempre circondati da persone che noteranno il tuo rapporto con il denaro, le tue spese, i tuoi sprechi, i tuoi consumi.

Che tu lo voglia o no, questo sarà fonte di profonde invidie.

Aggiungendo poi l’idea consolidata che gli Occidentali o i benguistes (gli africani che vivono in Occidente) sono ricchi a prescindere, si può ben capire come tutti proveranno a prendersi la loro parte, anche se non gli spetta, in modi più o meno onesti.

Consiglio di prevedere una quota annuale “a fondo perduto” per tutti i surplus che, anche inconsapevolmente, sarà necessario pagare. Inutile pensare di sfuggire alle tecniche rodate di maggiorazione dei prezzi, piccoli furti o accordi galeotti. L’importante è fare in modo che siano gestibili e non mettano in pericolo l’esistenza dell’azienda.

È quindi fondamentale trovare persone di fiducia in grado di limitare i danni che, pur intascandosi qualcosa, abbiano la coscienza di farlo entro limiti accettabili.

Riconoscimenti

Come ovunque al mondo, riconoscere i meriti e il valore dei lavoratori all’interno di un’organizzazione, rende le persone più produttive, appagate e anche più in grado di affrontare temporanei sacrifici.

Un errore frequente è dare tutto per scontato e pretendere cieca dedizione da parte dei dipendenti senza tuttavia dare alcuna gratificazione (sempre partendo dal presupposto che siamo noi a fare un favore a loro!)

Una mancia per il servizio reso, il resto di una commissione, un rimborso aggiuntivo (anche saltuario) per il trasporto, un contributo per cerimonie importanti (anche se non invitati), sono piccoli gesti che non incidono sulle finanze personali o aziendali, ma dimostrano empatia e considerazione che saranno probabilmente ripagate e, magari, limiteranno in parte i fuori busta autoconferiti di cui al punto precedente.

Attenzione però, perché basta poco per tramutare una buona intenzione in un gesto di pietà e compassione che potrebbe sembrare un’offensiva elemosina!

Per non concludere

Anche “in-Africa”, come ovunque al mondo, ci sono persone del tutto inaffidabili e inefficaci da cui, per il bene della vostra azienda o del lavoro da svolgere, dovrete assolutamente prendere le distanze.

Tuttavia malintesi e incomprensioni, in grado di generare deleterie reazioni di causa-effetto, hanno anche molte altre origini.

Iniziare a valutare in primo luogo le NOSTRE responsabilità (come datori di lavoro), anzichè giudicare solo il comportamento sbagliato ALTRUI (del collaboratore) può, in alcuni casi, contribuire ad una soluzione positiva per entrambi.

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