Ma perchè questo continente è così “incasinato”? Possibile che non sappiano badare a se stessi?
Ora, di risposte facili non ce ne sono. E vi invito sempre a diffidare di chiunque ve le proponga.
Un passato brutale e dimenticato
Di certo c’è la Storia, che proprio 136 anni fa conosceva una svolta che pochi ricordano.
Era il 26 Febbraio 1885 quando si concludeva la Conferenza di Berlino, detta anche Kongokonferenz.
Il cancelliere Bismarck riunì i rappresentanti delle allora 13 Potenze europee (Austria-Ungheria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Impero Ottomano, Portogallo, Russia, Spagna, Svezia-Norvegia, Regno Unito) e degli USA per discutere in dettaglio la spartizione coloniale dell’Africa.
Lo “scramble for Africa” (ph: legit.ng)
Nonostante la retorica di voler “interrompere il turpe commercio degli schiavi”, la più grande preoccupazione era di impedire una potenziale guerra tra Occidentali mentre ci si divideva territori ricchi di materie prime e potenziali mercati di sbocco per i propri prodotti (entrambi aspetti cruciali per la rivoluzione industriale in corso).
Nessun delegato africano partecipò alla conferenza. E non è che fossero a inseguire le giraffe. Semplicemente non li invitarono perchè non erano graditi.
Iniziava così la “scramble for Africa” che, in meno di trent’anni, porta alla completa occupazione del continente (tranne l’Etiopia e, formalmente, la Liberia – comunque satellite USA).
Sono passati cent’anni ma…
Siamo oltre un secolo dopo.
Se ci pensi bene non è che un battito di ciglia rispetto all’entità degli sconvolgimenti avvenuti in poche generazioni tra cui:
nascita di Stati su confini arbitrari e spesso in forte contrasto con sentimenti “nazionali” della gente
enormi cambiamenti religiosi, culturali e linguistici
impianto di schemi giuridici e istituzionali inadeguati e inefficaci
grandi trasformazioni economiche e sociali, a danno dei più elementari diritti delle persone.
Non temo di esagerare dicendo che è un miracolo che il continente sia ancora “vivo” dopo questi fatti.
Non c’è altra parte del mondo come l’Africa dove, costrette da circostanze brutali, le persone sono state così costantemente forzate ad innovare sia nei modi di essere, che nel modo di pensare e nel modo di fare le cose. Rimettere insieme e riparare ciò che è stato distrutto – corpi, strumenti, istituzioni e sistemi simbolici – è diventata la condizione stessa per la sopravvivenza.
Un bivio ineludibile
Ogni imprenditore o professionista che lavora con l’Africa ha di fronte a sè un bivio.
Può scegliere di ignorare il passato, reprimere il senso di colpa cercando di schivare gli incomprensibili ma sicuri ostacoli verso il radioso futuro.
Oppure può studiare il passato per capire come poter diventare un attore che partecipa in prima persona alla costruzione di un futuro differente.
Come profetizzava Patrice Lumumba, primo ministro del Congo indipendente assassinato nel 1961:
verrà il giorno in cui la storia parlerà.
Oggi puoi scegliere consapevolmente da che parte stare. Non è questione di slogan ma di fatti.
Non sto parlando di “fare beneficienza” o di “aiutiamoliacasaloro” ma di fare impresa e di investire in Africa promuovendo le persone, la cultura e l’ambiente dove si lavora. Non vuol dire “volemose bene” o “Peace, Love & Ganjapertutti” ma serietà e lungimiranza nelle tue scelte strategiche.
Guardando come fanno gli altri, per fare poi cento volte meglio.
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