Perchè ascoltare il singolo SABAR di F.U.L.A.

Corsi online, webinar, libri, eventi, percorsi di formazione.

In questo periodo, complice Covid-19, sta finalmente alzandosi il livello della riflessione – a dire il vero ancora di nicchia – su come sviluppare nessi costruttivi con il continente africano.

Dovrebbe essere, già da decenni, la priorità per un Paese che è un ponte tanto geografico quanto culturale tra l’Europa e l’Africa.

Meglio che niente, comunque.

In tutto questo, un giovane rapper sta superando tutti nella capacità di evocare nuovi scenari.

Di chi sto parlando?

Di F.U.L.A., di cui è appena uscito il nuovo singolo girato a Dakar:

Sabar

 

Oumar Sall, in arte F.U.L.A., è un artista italo-senegalese. Classe 1993, cresciuto a Cosenza. Si innamora della musica dopo la scoperta di Youssou N’Dour, tra le voci africane più celebri, fondatore di TFM e ministro del turismo e della cultura in Senegal.

La passione per F.U.L.A. scocca con l’Afro Music e la Break Dance. Dopo la scomparsa del fratello Malick nel tentativo di raggiungere la Spagna, inizia comporre le sue prime rime.

“Sabar” racconta di un Senegal moderno, abitato da una generazione di giovani aperti e consapevoli delle loro potenzialità.

Il titolo si riferisce alla tradizionale jam session Wolof dove ritmo, danza e colore sprigionano un’energia incontenibile, capace di liberare l’essere umano dai propri demoni.

Ecco due spunti che, qualunque sia il tuo “progetto” africano, dovresti imparare da “Sabar”.

Non solo banane e capanne

L’immagine dell’Africa e degli africani, in Italia, è ancora ferma a stereotipi e luoghi comuni.

Si parla di Africa come “un Paese”.

Gli africani, quando ci sono, sono comparse laterali gestite paternalisticamente.

In un’italietta di provincia, ricurva sui ricordi degli anni ’60, irrompe F.U.L.A.:

Non solo banane e capanne. Frate abbiamo Wi-Fi!

Più efficace di qualsiasi analisi socio-economica che si potrebbe fare a partire dal tasso di crescita di internet nel continente negli ultimi 20 anni:

+11.567%

Per capire meglio questa trasformazione: nel 2000 c’erano poco più di 4,5 milioni di utenti internet in Africa. Il 31 dicembre 2019 erano diventati oltre 526 milioni (comunque ancora meno del 40% della popolazione).

Guardare qualsiasi contesto africano con le lenti novecentesche del “vi insegnamo a pescare”, è il miglior modo per schiantarsi frontalmente contro realtà in ebollizione, genericamente ricche di voglia di rivalsa e con tanta autostima.

Un elemento cruciale per fare business con il continente, trasferirsi in Africa, gestire collaboratori locali o sviluppare iniziative di “cooperazione”.

Insomma, se negli anni ’20 del Duemila vai in Africa (54 o 55 Paesi, a seconda della fonte) sappi che troverai ben altro che banane e capanne.

O quantomeno che, dentro la capanna, troverai il Wi-Fi e parecchia tecnologia.

Chissà che, poco alla volta, non evaporino quelle manifestazioni di ignoranza così evidenti dalle domande che iniziano con le tre parole:

Ma in Africa…

Guarda che qui stiamo bene

Un concetto un filo complesso da capire per chi sguazza nelle tante retoriche prosperate intorno alla “grande migrazione”.

Di per sè, l’Africa non è un continente in fuga.

Quantomeno, non più di quanto lo sia anche l’Europa. Con un’Italia in pole position come terra di partenza di oltre 2 milioni di emigranti nel mondo negli ultimi 13 anni.

Ancora una volta, dove non sono sufficienti i numeri (97% degli “africani” vivono nel Paese dove sono nati) per capire sfumature e chiaroscuri, viene in aiuto F.U.L.A.:

Guarda che qui stiamo bene, tutti variopinti come ‘ste piroghe fra.

Riconoscere l’energia vitale del continente da cui, chi prima e chi dopo, arriviamo tutti.

Rendersi conto della pluralità di situazioni, condizioni socio-economiche, storie, desideri degli “africani” (uso sempre tra virgolette per farmi capire, poi è sempre da rideclinare sul singolo Paese) è un passo essenziale per uscire dai soliti monologhi autoreferenziali.

Decostruire gli stereotipi, presenti anche dall’Africa verso l’Europa, e navigare la complessità è peraltro l’arte in cui eccellono le “diaspore“. Sia chi, come F.U.L.A., è cresciuto in Italia con origini africane. O a chi, come migliaia di altri, ha origini italiane e vive stabilmente in un contesto africano.

Doppia assenza e doppia presenza, come appare dal precedente “Maldafrica” che è anche il primo brano Afrobeats/Afrotrap ad essere entrato in rotazione radiofonica in Italia:

Un buon punto di svolta è rendersi conto di quanto sia ingenua questa frase sull’Africa e i suoi abitanti:

Sono sempre felici anche se non hanno niente!

Da un lato, nessuno al mondo è “sempre felice”.

Dall’altro, nei tanti contesti “popolari” che ho avuto modo di conoscere (quartieri periferici delle grandi capitali, cittadine secondarie, campagna), la gente è mediamente felice perchè non ha niente.

Non avendo aspettative particolari, se non vivere, la vita ti stupisce sempre.

In altre parole, come canta Oumar Sall:

Per noi la vita è un Sabar.

Osservare, imparare, applicare la vitalogia africana al nostro lavoro e relazioni è la sfida che ci lancia il continente africano.

Se la vuoi raccogliere, devi iscriverti alla nostra community collaborativa.

Entra oggi in VADOINAFRICA NETWORK.